Se qualche anno fa comprare abbigliamento usato era una scelta di nicchia, ormai non è più così. Vestirsi second-hand sta diventando un fenomeno globale, secondo il Rapporto 2022 di thredUP e GlobalData.

D’altra parte basta guardare alla diffusione delle piattaforme di e-commerce dell’usato per rendersi conto che, in effetti, lo scenario è in continua evoluzione e le abitudini di acquisto stanno cambiando velocemente. Il tutto accompagnato da brand internazionali, come Patagonia e Levi’s, che al nuovo affiancano articoli usati del loro marchio.

Il che è una buona notizia visto che il riutilizzo è uno dei pilastri dell’economia e della moda circolare. Quindi, l’abbigliamento usato può dare un grande contributo per ridurre l’impatto ambientale di una industria vorace di materie prime e tra le più inquinanti.

A guidare l’ascesa del second-hand ci sono gli Stati Uniti, ma anche qui in Europa ci stiamo dando da fare. Infatti, al 2026 le stime parlano di una crescita doppia rispetto ai vari canali di vendita, incluso il noleggio.

Insomma, l’usato piace e piacerà sempre di più. Un esempio è Vinted, la piattaforma per vendere e acquistare abbigliamento usato che, con 50 milioni di utenti, nel giro di pochi anni si è affermata in tutta Europa.

A livello globale il Report stima una crescita al 2026 del 127% sul sul 2021. Il mercato dell’abbigliamento usato passerà dai 96 miliardi di dollari ai 218 miliardi di dollari nel 2026.

Si tratta di un mercato che negli Stati Uniti un anno fa valeva 35 miliardi di dollari e che tra quattro anni varrà più del doppio. Questa grande spinta agli acquisti di abbigliamento, scarpe e accessori di seconda mano, è favorita principalmente dalle piattaforme online che consentono di acquistare comodamente da casa grazie all’ampia offerta dei siti di rivendita.

La crescita del mercato del second-hand è stimata in crescita anche tra 10 anni. Con un aumento di 8 punti percentuali sul 2021. E la fast fashion? Al 2031 ci sarà ancora, ma avrà meno mercato rispetto ad oggi. Eppure per la Strategia dell’Unione europea per i prodotti tessili sostenibili e circolari la moda fast fashion ha appena 8 anni contati, almeno all’interno dell’Ue.

Perché l’abbigliamento usato sta spopolando?

Nel 2021 il 53% dei consumatori statunitensi ha dichiarato di aver comprato abbigliamento usato, con un aumento di 22 punti percentuali sul 2020. Non solo, il 41% dei consumatori guarda prima all’usato quando deve acquistare un capo di abbigliamento. La percentuale sale al 62% tra la generazione Z (i nati tra il 1996 e il 2010).

Quasi un consumatore su tre è consapevole dell’impatto ambientale delle abitudini individuali di acquisto.  L’usato, quindi, va privilegiato sul nuovo.  Si tratta di risparmiare materia prima (sempre più carente), ridurre l’inquinamento, contribuire alla riduzione delle emissioni serra, evitare che capi ancora utilizzabili finiscano in discarica.

La responsabilità ambientale, però, non è la motivazione principale che spinge a comprare capi di seconda mano invece che nuovi. Per prima cosa negli Usa si acquista abbigliamento usato per risparmiare denaro, poi per permettersi marchi di fascia alta e per trovare capi unici. Per la generazione Z le ragioni sono leggermente diverse: al primo posto c’è sempre il risparmio economico, poi perché fare acquisti di seconda mano è più sostenibile e, infine, perché è più divertente.

Il senso di colpa di chi acquista fast fashion e l’orgoglio di chi compra usato

Fare a meno della moda fast fashion non è semplice. L’incoraggiamento a comprare anche quando non se ne ha bisogno è continuo: resi gratuiti, vendite a basso costo, pagamenti rateali, spedizioni a zero spese e super sconti a tempo. I brand del fast e ultra fast fashion fanno di tutto per spingere a comprare l’ultimo stile, dell’ennesima collezione, da avere assolutamente.

Tanto che gli habitué della moda usa e getta si sentono sotto pressione e 1 su 5 punta il dito contro i social media. Così, per il 42% dei consumatori statunitensi, smettere di acquistare moda fast fashion è difficile. Nonostante il 43% si senta in colpa per averla comprata o indossata.

Ad ogni modo, l’attrazione per la moda usa e getta rimane forte, visto che poco più della metà la sceglie perché fa risparmiare tempo. Non solo, addirittura più di 7 consumatori su 10 la predilige per il buon rapporto/qualità prezzo (probabilmente perché lo sfruttamento del lavoro, che giustifica il basso costo, non è considerato).

Thredup, resale report 2022.

Tutt’altra situazione per chi acquista second-hand. Tanto che l’82% dice di provare una sensazione positiva e il 72% è orgoglioso di condividere con gli altri la scelta di acquistare abbigliamento di seconda mano (mi rivedo molto in queste affermazioni).

L’armadio del futuro sarà sempre più circolare

Nel nel 2021 oltre la metà dei consumatori statunitensi ha acquistato e venduto abbigliamento di seconda mano. Bene. C’è un dato però che mi lascia molto perplessa ed è questo: il rapporto dice che il 36% della Generazione Z compra e vende abbigliamento usato settimanalmente o mensilmente. Mi pare una esagerazione. Che bisogno c’è? Allora mi è venuto in mente un articolo che ho letto qualche tempo fa su il Post che affrontava alcune contraddizioni emerse dalla facilità con cui è possibile comprare e acquistare abbigliamento usato grazie alle applicazioni come Vinted e Depop.

In pratica, è come se lo shopping impulsivo e compulsivo della fast fashion si stia spostando sulle piattaforme second-hand con la differenza che i vestiti smessi tornano in circolo e vengono sostituiti dai vestisti smessi da altri. È come passare da una dipendenza all’altra. Ecco, questa eccessiva “circolarità” di svuotare e riempire l’armadio, seppur di abbigliamento usato, non la trovo un granché sostenibile.

Foto di MART PRODUCTION

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