“Buono, pulito e giusto” è la formula che riassume la filosofia di Slow Food. E se questa formula, che ha avuto tanto successo nel settore alimentare, fosse applicata anche al tessile? Lo è, infatti proprio dall’incontro con Slow Food Italia nasce Slow Fiber, una nuova rete che riunisce 16 aziende italiane virtuose del tessile.
D’altra parte c’è un grande relazione tra cibo e tessile visto che entrambi provengono dalla Terra e dalle risorse naturali che non sono illimitate. Ormai si sa.
La nascita di questa nuova iniziativa mi ha fatto pensare alla prefazione che Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, fece nel 2013 alla prima edizione del libro L’impresa moda responsabile (Egea) di Francesca Romana Rinaldi e Salvo Testa.
Una prefazione lungimirante. Scrive Petrini: «Se il cibo è forse ciò che più ci lega a filo diretto con la Natura e i suoi equilibri, non sono affatto esenti da questa connessione gli altri comparti produttivi, i quali si trovano anch’essi di fronte a crisi strutturali dovute al non rispetto di certi limiti, basando il proprio agire sull’assunto che la crescita potesse essere infinita».
Il tessile è in profonda connessione con la Natura e va ripensato. E per ripensarlo valgono gli stessi principi del “buono, pulito e giusto”.
L’obiettivo di Slow Fiber
Cosa vuole fare Slow Fiber? L’obiettivo è quello di farsi portavoce di un necessario e urgente cambiamento verso la sostenibilità della moda e del settore tessile. E per farlo si pone l’obiettivo di:
1) ampliare la consapevolezza sull’impatto che i prodotti tessili hanno sull’ambiente, sui lavoratori della filiera e sulla salute dei consumatori;
2) portare un cambiamento positivo nel settore;
3) diffondere una nuova etica e cultura del vestire e dell’arredare.
Il proposito di Slow Fiber è anche quello di allargare il network, coinvolgendo e invitando aziende italiane e internazionali a unirsi alla rete per ampliare la portata dell’impatto di questo cambiamento rendendolo corale, forte e immediato.
Come spiega Dario Casalini fondatore di Slow Fiber: «Negli ultimi decenni il modello del fast fashion ha imposto una coincidenza tra nuovo e bello. Capi che vengono prodotti in grandi quantità e bassa qualità e creano rifiuti. L’idea è invece quella di recuperare un concetto di bellezza che abbia anche dei valori etici perché essere sostenibili significa avere un atteggiamento intellettualmente onesto e quindi prendere in considerazione tutto il sistema».
Ecco perché il piacere e la qualità nell’alimentare possono essere applicati anche nel tessile e moda. Vestirsi è una necessità e nel vestire esprimiamo quello che siamo. Anche l’arredo delle nostre case ci racconta.
Quindi, oltre al piacere alimentare, c’è anche quello estetico. Ma l’estetica e il bello devono tenere conto di due fattori: il rispetto dei diritti delle persone che lavorano nella filiera produttiva e la tutela dell’ambiente e di questo Pianeta.
Quello che è accaduto negli ultimi 20 anni non ha nulla a che fare con tutto questo. Le stime dicono che la produzione annuale è arrivata a oltre 150 miliardi di capi di abbigliamento e accessori. La metà è invenduta. Che fine fa? Viene distrutta, bruciata o smaltita nelle discariche. Sappiamo che l’industria del tessile e abbigliamento è tra i più inquinanti e ha un ruolo rilevante nelle emissioni globali di gas serra.
Inoltre, con le filiere di produzione delocalizzate in paesi con scarse o zero regole di tutela ambientale e dei diritti dei lavoratori, il settore, dominato dalla fast fashion, si basa sullo sfruttamento ambientale e umano.
Una moda così non è né bella, né buona, né giusta. Non è nemmeno durevole sia per i materiali di cui è fatta sia per le continue collezioni che vengono proposte.
Chi sono le aziende che fanno parte di Slow Fiber
Sono 16 le aziende del tessile e arredo che hanno aderito alla rete Slow Fiber. Condividono regole comuni attraverso il Manifesto di Slow Fiber impegnandosi a intraprendere o a rafforzare i propri percorsi di sostenibilità e a supportare i nuovi aderenti nella realizzazione di obiettivi chiari, trasparenti, misurabili.
La linea è quella di creare prodotti tessili, per il vestire e l’arredare, che siano non solo belli, ma anche sani per chi li usa; puliti perché l’impatto ambientale dei processi produttivi è ridotto; giusti perché rispettano i diritti e la dignità dei lavoratori coinvolti e la valorizzano le competenze e i saperi tradizionali. Prodotti durevoli perché in grado di durare nel tempo, al contrario del consumo veloce e usa e getta della fast fashion.
Le aziende del tessile italiano che aderiscono già a questi requisiti sono: Oscalito, l’Opificio, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico.
Si tratta di aziende intergenerazionali che vantano una storia importante nel settore della produzione vestiaria e dell’arredamento. Oggi impiegano più di 1000 persone e raggiungono un fatturato complessivo di oltre 500 milioni di euro.
«Come per Slow Food, anche con Slow Fiber vogliamo proporre una rivoluzione, un cambiamento di paradigma della produzione, del consumo e, quindi, della percezione del tessile, e per farlo non potevamo scegliere partner migliore». Afferma Dario Casalini, e prosegue: «L’impegno è di farlo con il medesimo rigore scientifico e la medesima attenzione. L’augurio è quello di arrivare, senza fretta, molto lontano, seguendo i passi che Slow Food ha fatto in questi ultimi decenni».
Insomma, dopo la nascita de Movimento Moda Responsabile, possiamo contare anche sulla Rete Slow Fiber.
Foto: Manifattura Tessile Di Nole, reparto orditura.