Anche un vecchio maglione, usurato dal tempo, rotto, infeltrito, può avere una seconda vita e rinascere in un nuovo filato per fare nuovo abbigliamento. Lo sanno bene nel distretto tessile di Prato dove, grazie a una tradizione consolidata, dal riciclo della maglieria usata e dagli scarti di lavorazione si producono filati rigenerati per l’industria della moda. Di questo processo virtuoso ne parla il documentario Stracci.

Eppure, a livello globale, ancora oggi meno dell’1% delle fibre per fare abbigliamento proviene dal riciclo dei tessuti (Textile Exchange, Report 2022). E questo è un problema, visto che in 20 anni la produzione di fibre vergini è raddoppiata ed è prevista in crescita. Le fibre sintetiche primeggiano su tutte, con il poliestere in testa. Il che non si concilia con la crisi climatica, considerando che l’industria del tessile e abbigliamento è tra i settori a maggior emissione di gas serra.

Senza contare che la stragrande maggioranza dell’abbigliamento che scartiamo e dell’invenduto finisce in discarica o viene bruciato. Vedi la discarica di Atacama in Cile oppure cosa succede con l’abbigliamento usato esportato in Africa.

La buona notizia è che proprio in Italia c’è un brand che propone una linea di abbigliamento creata a partire da fibre rigenerate e a loro volta rigenerabili per fare indumenti e accessori di alta qualità, pari a quelli prodotti da fibra vergine.  

Il brand in questione si chiama Rifò, moda circolare Made in Italy, non è un caso che si chiami così e non è un caso che è nato proprio nel distretto tessile di Prato, dove il riciclo della fibra si fa da 150 anni.

Maglieria usata: una risorsa per fare nuova fibra e nuovi filati per l’abbigliamento.

Oltre alla fibra riciclata, Rifò ha scelto di affidare la produzione dei propri capi di abbigliamento e accessori ad artigiani locali. Tutti si trovano a un raggio di 30 km dal suo ufficio a Prato. Insomma, un produzione a km 0, a stretto contatto con i fornitori, e a garanzia di tutele e sicurezza per le persone coinvolte nella filiera.

Sostenere e valorizzare la filiera significa renderla trasparente, comunicare pubblicamente chi ha fatto il capo di abbigliamento, da dove viene la materia prima, le sue caratteristiche, le certificazioni dei materiali. Queste ed altre informazioni sono disponibili sull’e-shop del brand in ogni scheda prodotto.  

Rifò vende prevalentemente online, ma non mancano i rivenditori, circa 300 tra Italia ed estero. Comunque, per ridurre il più possibile l’impatto dell’imballaggio nelle spedizioni, è stato ideato un packaging in feltro di fibre miste riciclate, il Fluffypack, che può essere riutilizzato in vari modi e quindi tornare utile.

Rifò nasce a novembre del 2017, il fondatore e Ceo è Niccolò Cipriani. Ecco come ha maturato l’idea: «Mi trovavo in Vietnam – racconta – impegnato in un progetto di cooperazione e sviluppo. Proprio in quel periodo, mi sono accorto del problema della sovrapproduzione nell’industria dell’abbigliamento. Vale a dire che si produce molto di più rispetto a quello che le persone comprano e che poi le persone comprano di più rispetto al loro fabbisogno. Quindi, al problema della sovrapproduzione, si aggiunge anche quello del consumo eccessivo. Tutto questo accade perché l’industria della moda, in particolare del fast fashion, è basata sulla quantità e non sulla qualità, non dà valore a quello che si produce».

«Così – prosegue -, mi è venuta l’idea di tornare a Prato, ad una tradizione che valorizza gli scarti, i rifiuti tessili, trasformandoli in nuovo filato, in una nuova risorsa. Rifò, quindi, lavora con produttori locali per trasformare scarti e rifiuti in nuovi filati che vengono utilizzati per creare nuove collezioni di maglieria, accessori, t-shirt e così via. Produzioni fatte da artigiani del territorio con materiali rigenerati e rigenerabili. A questo si aggiungono progetti sociali sul territorio».

È intuibile, ma cosa significa Rifò?

Rifò in toscano significa “rifaccio”. Quindi, l’idea era quella rifare, di ridare nuova vita ai capi usati e agli scarti industriali di lavorazione. Non solo, producendo localmente, anche rifare una tradizione che è quella dei cenciaioli. In toscano “cencio” significa “rifiuto”, “scarto”. I cenciaioli sono artigiani che selezionano manualmente le fibre per qualità e colore, eliminando zip e bottoni. Gli indumenti poi vengono sfilacciati e riportati allo stato di fibra che viene rifilata per fare nuovi indumenti.  

cENCIAIOLO AL LAVORO: La cernita per colore.

Grazie alla selezione a monte per colore, le fibre rigenerate non necessitano di tintura…

Nella maggioranza dei casi non si sovratinge e viene mantenuto il colore originale. Questo significa risparmiare acqua, coloranti e prodotti chimici.

Con quale materiale avete iniziato le vostre produzioni?

Il cashmere rigenerato è stato il primo materiale che abbiamo utilizzato. Inizialmente, producevamo cappellini, sciarpe e guanti.

Maglioni in cashmere Rifo’.

A distanza di pochi anni, avete introdotto altre fibre rigenerate…

Oltre al cashmere, utilizziamo le fibre rigenerate di lana, cotone, jeans e seta. Vorremmo introdurre anche il lino riciclato.

Perché in alcuni dei vostri capi, oltre alla fibra rigenerata, c’è anche una percentuale di fibra vergine?

Per rafforzare la fibra rigenerata in alcuni casi è necessario utilizzare una percentuale di fibra vergine. Può accadere con il cashmere o con il cotone, che è a fibra corta. In pratica, serve per conferire al tessuto maggiore robustezza e durabilità.  

Quante volte le fibre rigenerate possono essere nuovamente rigenerate?

Il cashmere e la lana almeno due volte, mentre il cotone almeno una volta.

Essendo un brand di moda circolare, fornite anche servizi circolari, di cosa si tratta?

Vogliamo coinvolgere le persone affinché possano partecipare al nostro programma di economia circolare. Quindi tutti possono contribuire consegnandoci i loro vecchi indumenti che, se non adatti al riuso, vengono avviati al riciclo per ricavarne nuova fibra.

Come funziona il vostro servizio di raccolta?

Attraverso i negozi e le aziende che hanno aderito al nostro servizio circolare, è possibile consegnare negli appositi box maglie 100% lana o 100% cashmere e denim che sia almeno 95% cotone. In cambio si riceve un buono sconto da spendere sul nostro sito. I jeans vengono inviati alla cooperativa Recooper di Bologna che si occupa della selezione e dello smistamento. Forniamo anche un servizio di ritiro a domicilio prenotabile sul nostro sito.

Per conoscere nel dettaglio il servizio circolare di raccolta Rifò, con tutti i punti di ritiro, visita la pagina Ricicla i tuoi vestiti.

Alcuni capi in seta rigenerata sono tinti al naturale. Cosa significa? 

Usiamo pigmenti naturali minerali e vegetali nella colorazione. Il processo viene fatto qui a Prato da tintorie specializzate. Si tratta di un processo con un bassissimo impatto ambientale rispetto alla colorazione sintetica.

A novembre 2020 avete ottenuto la certificazione internazionale B-Corp. Cosa significa per voi?

Significa essere un’azienda rigenerativa che punta a ottimizzare il profitto valorizzando la filiera, la produzione locale, le persone e i materiali che utilizziamo.

Qual è il progetto a maggior impatto sociale che state portando avanti?

Abbiamo un progetto che si chiama “Nei Nostri Panni, cenciaioli si diventa”. È rivolto alle persone sul territorio che vivono in una condizione di vulnerabilità. Grazie ad aziende nostre partner, offriamo un periodo di formazione retribuito e il conseguente inserimento lavorativo all’interno della filiera del distretto tessile di Prato. Insegniamo loro mestieri che stanno scomparendo, come il cenciaiolo e il filatore, perché non c’è ricambio generazionale. Finanziamo il progetto devolvendo 2 euro per ogni acquisto fatto sul nostro e-commerce.

Quando è nato questo progetto?

L’anno scorso. Abbiamo già inserito 5 nuovi cenciaioli e quest’anno ne inseriamo 12, sono 5 cenciaioli e 7 filatori.

Fino a quando andrà avanti ?

Finché c’è Rifò ci sarà anche “Nei nostri panni”.

Rifò propone due collezioni l’anno, come si faceva una volta. In più, avete scelto la formula della prevendita. Perché?

La prevendita ci permette di produrre non più del necessario, applicare lo sconto prima, cioè nel corso della prevendita, e non dopo perché ci troviamo troppi capi invenduti. È un modo intelligente per ridurre l’avanzo di magazzino alla fine dell’anno e produrre quello che serve secondo le richieste.

Una volta preordinato, con quali tempi arriva il capo?

Dipende dal prodotto stesso. Può andare dalle tre alle otto settimane. Più è lungo il tempo di attesa e più alto è lo sconto.

Obiettivi futuri?

Far crescere ancora di più il progetto “Nei Nostri Panni”, aumentare la nostra presenza all’estero, potenziare il nostro servizio circolare, aggiungendo la raccolta di altri materiali, come il cotone.

Crediti fotografici: per gentile concessione di Rifò 

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