A Milano è tempo di sfilate, ma in via Paolo Sarpi, all’altezza dei civici 19 e 21, c’è qualcosa che suscita shock e incredulità. C’è un’auto rossa distrutta da giganteschi chicchi di grandine e uno di questi colpisce l’auto sul davanti, cadendo sulla scritta Climate change doesn’t exist (Il cambiamento climatico non esiste).
Si tratta di una installazione provocatoria ideata per ricordare che negare o ignorare la crisi climatica non mette al riparo nessuno. L’iniziativa nasce da un progetto della Fondazione CESVI e Factanza Media ed è stata presentata proprio all’apertura della Milano Fashion Week.
Gli eventi climatici estremi sono in aumento
La crisi climatica non è un concetto astratto, ma è tra noi. L’installazione lo rende ben visibile, non è qualcosa di cui ci possiamo dimenticare, almeno fino alla prossima catastrofe. Come ricorda il CESVI, gli eventi climatici estremi sono sempre più frequenti ovunque, anche nel nostro Paese.
La città di Milano porta ancora le “ferite” delle violente piogge e grandinate che l’hanno recentemente colpita, così come le devastanti alluvioni hanno messo a dura prova l’Emilia-Romagna. Non si tratta di fenomeni passeggeri o imprevedibili, ma degli effetti del riscaldamento globale.
Il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato, con una temperatura media di 0,60° maggiore rispetto al 1991-2000 e di 1,48° dal livello preindustriale.
Tra 1970 e 2021 i fenomeni meteorologici estremi nel mondo sono stati 11.778, con 4.300 miliardi di dollari di danni economici e la morte di 2 milioni di persone, per il 90% nei Paesi in via di sviluppo.
L’ingiustizia climatica e il focus sul Pakistan
La crisi climatica è globale e a soffrirne di più sono i Paesi più poveri, i più vulnerabili. Un esempio è il Pakistan colpito tra il 2022 e il 2023 da inondazioni, morte e devastazioni.
Per questo, ad accompagnare l’installazione, c’è un totem multimediale che mostra gli effetti catastrofici della crisi climatica nel mondo con un approfondimento proprio sul Pakistan. Un Paese molo legato al settore tessile e del fashion visto che è tra i principali produttori di cotone.
Ma il Pakistan è anche un simbolo dell’ingiustizia climatica, visto che è tra Paesi più colpiti al mondo dagli eventi climatici estremi, sebbene sia responsabile di meno dell’1% delle emissioni di gas serra a livello globale.
Le alluvioni del 2022 hanno sommerso un terzo del Paese, hanno colpito 33 milioni di persone e più di 8,2 milioni sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Nel 2023 l’emergenza si è estesa anche nel Punjab dove più di 750.000 persone sono state colpite da piogge estreme con oltre 630.000 persone sfollate e quasi mezzo milione di acri di coltivazioni danneggiati.
La crisi climatica aumenta le disuguaglianze
«Il cambiamento climatico esacerba le diseguaglianze e le ingiustizie sia a livello internazionale che locale. Da un lato i Paesi che soffrono maggiormente gli impatti del cambiamento climatico non sono affatto quelli che hanno contribuito di più alla genesi del fenomeno. Dall’altro in ogni singolo Paese sono le comunità più povere e marginalizzate ad essere le più colpite», afferma Gloria Zavatta, Presidente di CESVI.
«La scelta di ribadire l’allarme sull’emergenza climatica in concomitanza della Fashion Week ci permette di porre l’attenzione su un tema di rilevanza assoluta in un momento di grande visibilità per Milano, città della moda, ma sempre più attenta alle tematiche legate alla sostenibilità».
Crisi climatica: dove produce l’industria della moda
C’è anche da dire che l’industria della moda è tra i settori a maggior impatto climatico con una quota di emissioni di gas ad effetto serra che va dal 4% al 10% a livello globale. Se si continua a produrre secondo gli attuali sistemi, basati sulle fonti fossili, sulle fibre sintetiche e con ritmi incessanti, queste emissioni sono stimate in crescita
In genere, poi, l’industria della moda produce proprio in quei Paesi che stanno soffrendo di più gli effetti dell’aumento delle temperature e degli eventi climatici estremi. Tra i quali India, Bangladesh, Cambogia, Vietnam e Pakistan.
L’industria della moda agisca garantendo la salute, la sicurezza, un salario dignitoso alle lavoratrici e lavoratori dell’intera filiera di produzione. Investa nell’innovazione dei processi di produzione. Inizi a produrre meno e meglio.
Cosa possiamo fare noi
Anche noi possiamo e dobbiamo fare la nostra parte. Intanto iniziamo a comprare solo quello che ci serve, possibilmente di qualità, prodotto in maniera etica, senza dimenticare mai che esistono negozi, marketplace, mercatini e-commerce di moda di seconda mano e vintage.
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Così, noi per primi, prima dell’industria, delle leggi e dei regolamenti, possiamo dare un enorme contributo da subito alla riduzione delle emissioni di gas serra. Questo Pianeta è l’unica casa che abbiamo. Noi e le prossime generazioni.
Foto: ufficio stampa CESVI