cesta di magliette colorate che poggiano su un mare di microplastiche.
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Aumenta la plastica nei vestiti, prima di comprare leggi le etichette

Crescono le fibre sintetiche nei vestiti. Il tessile è il principale responsabile del rilascio di microplastiche nei mari. Gli effetti sulla salute.

La plastica è nei vestiti e nei tessuti in generale. Il settore tessile e abbigliamento è tra quelli che fa maggior uso di plastica. Lo fa per produrre tessuti sintetici con in testa il poliestere, il materiale tessile più utilizzato, che copre il 54% della produzione mondiale di tutte le fibre.

Per dare un quadro generale, a livello globale, in soli due decenni la produzione di plastica è raddoppiata nei vari settori (imballaggi, trasporti, costruzioni, tessile, etc.). Infatti, nel 2019 ha raggiunto 460 milioni di tonnellate (Mt).

Di conseguenza, sono raddoppiati anche i rifiuti di plastica, schizzati a 353 Mt.

Vestiti e plastica: il tessile fonte di rifiuti

Da dove vengono tutti questi rifiuti di plastica?

Ebbene, come scrive l’Ocse in Global Plastics Outlook: Policy Scenarios to 2060: quasi due terzi dei rifiuti di plastica provengono da prodotti con una durata inferiore ai cinque anni, quindi:

  • il 40% da imballaggi
  • il 12% da beni di consumo
  • l’11% da abbigliamento e tessuti. 

In particolare, il tessile è al quinto posto nella produzione di rifiuti di plastica (42.9 Mt), come dimostra il grafico sotto.

Statista: Global plastic waste production by application

In futuro andrà meglio? Secondo l’Ocse senza misure severe e coordinate a livello globale la situazione è destinata a peggiorare. Infatti, le stime dicono che il consumo di plastica al 2060 crescerà quasi tre volte sul 2019, arrivando a 1.231 Mt.

A trainare la crescita della produzione plastica c’è il settore dell’automobile, seguono gli imballaggi e le costruzioni. Questi 3 settori insieme raggiungono il 60% del consumo di plastica.

Ma a crescere sarà anche la plastica nel tessile, visto che l’uso di polimeri impiegati per produrre fibre sintetiche crescerà di tre volte entro il 2060 a livello globale.

Leggi anche: Tessuti sintetici: 5 motivi per cui il poliestere riciclato non è una soluzione

Il dato generale sui rifiuti di plastica, considerando tutti i settori che ne fanno uso, crescerà a sua volta, la stima è di 1.014 Mt nel 2060, il triplo rispetto al 2019. 

Dove finiranno tutti questi rifiuti di plastica? Il 50% in discarica, il 18% negli inceneritori e il 17% sarà riciclato.

Riguardo all’abbigliamento, attualmente sono l’1% di quanto scartato viene riciclato per fare nuovi vestiti, tanto che la stragrande maggioranza finisce in discarica o incenerito.

Leggi anche: Abbigliamento usato: il flusso tossico dall’Europa alla discarica di Nairobi in Kenya

La buona notizia, che ci riguarda da vicino, è che entro il 2025 i paesi dell’Ue dovranno recepire la direttiva sulla raccolta differenziata dei rifiuti tessili, avviando così un sistema in cui le aziende sono responsabili del fine vita dei loro prodotti.

Leggi anche: Il tessile al centro del Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2024

Vestiti e plastica, l’impatto sulla crisi climatica

La plastica nasce dai combustibili fossili, come petrolio e gas, infatti è responsabile del 3,4% delle emissioni globali di gas ad effetto serra. Una percentuale in crescita visto che il ciclo di vita della plastica emette 1.8 gigatonnellate (Gt) di anidride carbonica (CO2) che al 2060 potrebbe arrivare a 4.3 Gt.

Le fibre sintetiche, come è scritto nel report dell’Ocse, generano più emissioni di CO2 rispetto a tutti i settori che utilizzano plastica. Quindi, emettono più gas ad effetto serra degli imballaggi in plastica o delle plastiche utilizzate nei veicoli.

Vestiti e microplastiche

Che dire invece delle microplastiche? Anche qui il settore del tessile e abbigliamento ne esce malissimo visto che è responsabile del 35% del rilascio di queste minuscole particelle di plastica (inferiori a 5 mm) che stanno inquinando gli oceani.

Statista: Where the Ocean’s Microplastics Come From.

Altre fonti di rilascio di microplastiche sono l’usura degli pneumatici, i prodotti che le contengono, come i cosmetici e i detergenti, oppure la produzione di pellet di plastica.

Leggi anche: Fibre sintetiche: il bucato a mano abbatte il rilascio di microplastiche

Le microplastiche sono ovunque. Nelle acque dolci, nell’aria, nei terreni, anche con concentrazioni molto elevate.

Come ricorda il WWF in Non c’è salute in un ambiente malato, il Mar Mediterraneo è il mare con la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità marine: 1,9 milioni di tonnellate per metro quadrato. Un dato che supera il limite massimo tollerabile di presenza di microplastiche, oltre il quale non c’è più sicurezza di mantenere le condizioni favorevoli alla vita e al benessere umano.

Microplastiche e salute

Le microplastiche sono particolarmente preoccupanti dal punto di vista dell’inquinamento ambientale e della salute umana. Attingendo ancora una volta dal report del WWF, e alle fonti scientifiche citate, è utile ricordare che le microplastiche entrano nel corpo attraverso la catena alimentare e l’aria che respiriamo.

Sono oltre 840 le microplastiche che possono essere ingerite all’anno dal consumo di 3 principali specie commerciali di pesce (spigola e due  tipologie di sgombro) e fino a 11mila dal consumo elevato di bivalvi (es. cozze, vongole etc.). Meno dai gamberi (fino a 175/anno) e fino a 458mila dall’acqua di rubinetto (oltre 3 milioni invece dall’acqua in bottiglie di plastica).

Se a questo si aggiungo l’aria e gli alimenti non acquatici, ogni giorno possiamo assumere oltre 100mila microplastiche.

Dove sono state trovate le microplastiche nell’uomo?

Citando le principali fonti scientifiche, il WWF ci ricorda che nell’essere umano le microplastiche sono state trovate nelle feci (anche quelle dei bambini), nella  placenta, nel sangue, nel cervello e nelle aree profonde dei polmoni.

Sebbene ancora non ci siano numerose evidenze epidemiologiche di effetti gravi immediati dell’esposizione umana alle microplastiche, i dati degli studi sui mammiferi e sugli organismi bioindicatori indicano che: le microplastiche una volta entrate nell’organismo non degradano. Per cui, l’accumulo di questo materiale estraneo è un continuo stimolo infiammatorio, alterazioni cellulari e genotossicità che possono portare conseguenze gravi, tra cui cancro, problemi riproduttivi, di sviluppo, respiratori e digestivi, obesità, diabete.

Recenti studi hanno correlato la presenza di microplastiche con malattie infiammatorie intestinali, tra cui il morbo di Crohn e la colite ulcerosa, stress a livello cellulare.

Uno studio italiano ha dimostrato per la prima volta una correlazione tra la presenza di microplastiche nelle placche aterosclerotiche, nei depositi di grasso nelle arterie, e un maggior rischio di infarto e ictus.

Inoltre, è stato scoperto che le microplastiche contribuiscono anche alla crescita della resistenza agli antibiotici.

Cosa puoi fare contro la plastica e le microplastiche nei vestiti e negli imballaggi

Per evitare l’inquinamento da plastica e dalle microplastiche nei vestiti leggi l’etichetta per sapere di quali fibre è composto il tessuto.

Leggi anche: Poliestere e sudore: ecco perché può rilasciare cattivo odore

Le principali fibre sintetiche sono: poliestere (il più diffuso), nylon, acrilico ed elastam (spandex). Acquista nuovi capi solo quando ne hai davvero bisogno e prediligi l’usato: se è sintetico, avrà già perso la maggior parte delle microplastiche durante i lavaggi.

Soprattutto, abbi cura e rivaluta tutto quello che è già nel tuo armadio.

Leggi anche: Quanti vestiti dovremmo avere nell’armadio?

Riguardo agli imballaggi, evita quelli impropri e inutili. Preferisci l’acquisto di prodotti sfusi: dai detersivi alla frutta e verdura.

Bevi acqua del rubinetto, se puoi, così ridurrai le bottiglie di plastica. Se conosci una fonte di acqua potabile dove riempire bottiglie di vetro, approfittane. Puoi trovare altri suggerimenti seguendo le associazioni Plastic Free, Marevivo, il WWF, solo per citarne alcune.

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