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Le 12 aree di impatto sociale e ambientale della moda

L'impatto della moda è su più fronti. Produrre sempre di più e a basso costo è ancora la norma. Dove intervenire secondo Public Eye.

Come vestirsi in un pianeta che sta morendo? Te lo sei mai chiesto? È questa la domanda che pone l’Ong svizzera Public Eye in One-Earth Fashion. Un report propositivo sulle aree di impatto della moda e che illustra le azioni necessarie per una trasformazione radicale in senso ecologico e sociale.

Tutti sanno che il tessile, abbigliamento, pelletteria e calzature sono tra le industrie più inquinanti e ingiuste, basate sullo sfruttamento diffuso di manodopera a basso costo e delle risorse del pianeta.

Come se ne esce? Public Eye in One-Earth Fashion individua 12 aree chiave di impatto sociale e ambientale delle moda su cui intervenire e 33 obiettivi da raggiungere entro il 2030.

Le aree sono state individuate seguendo il modello a ciambella che combina i 9 limiti biofisici planetari con i requisiti sociali per vivere in uno spazio sicuro e giusto per l’umanità.

Questo modello dell’economista inglese Kate Raworth è stato il punto di riferimento per la definizione dei 17 obiettivi di Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite sottoscritti nel 2015 e da raggiungere entro il 2030.

In pratica, l’economista propone un grafico a due cerchi: nel primo ci sono le 12 fondamenta sociali (come parità di genere, cibo, salute, educazione, reddito e lavoro, ecc.) e nel secondo i 9 limiti planetari (inquinamento chimico, acidificazione degli oceani, cambiamento climatico, riduzione dell’ozono, ecc.). In mezzo ai due cerchi inserisce uno spazio giusto per l’umanità, cioè dove operare e prosperare in maniera sostenibile, in equilibrio tra i limiti planetari e le fondamenta sociali.

I limiti planetari e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile

Il raggiungimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile sono ancora molto lontani. La promessa dei governi di “Non lasciare nessuno indietro” è in serio pericolo. Tant’è che al 2023 solo il 12%, dei 140 target esaminati, sono sulla buona strada; quasi la metà, pur mostrando progressi, sono moderatamente o gravemente fuori strada e circa il 30% non ha fatto progressi o è regredito.

Questo significa, ad esempio, che al 2030 ben 575 milioni di persone vivranno nella povertà estrema, che ci vorranno 286 anni per eliminare la disparità di genere e che 300 milioni di bambine e bambini o di giovani non sapranno né leggere e né scrivere.

Non solo, 6 dei 9 limiti planetari sono stati superati anche con il contributo della moda. Abbiamo superato il limite delle concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, dell’uso del suolo, dell’inquinamento chimico, del ciclo dell’acqua, mentre la biodiversità è al tracollo.
Superare i limiti planetari significa mettere in pericolo la vita su questo Pianeta per le generazioni future e per tutte le specie viventi.

Continuare a estrarre risorse naturali perseguendo una crescita illimitata, come fa l’industria della moda, è insostenibile. Tanto per rendere l’idea, negli ultimi 20 anni, la produzione globale di fibre è quasi raddoppiata, passando da 58 milioni di tonnellate nel 2000 a 113 milioni nel 2021 e si prevede che crescerà fino a 149 milioni di tonnellate nel 2030.

Tutto questo si scontra con la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e contenere l’aumento della temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali.

Leggi anche: L’industria della moda è fossile e va a tutto gas serra

Il settore tessile e moda deve fare la sua parte, non solo sul piano ambientale ma anche sociale, due sfere strettamente collegate. Deve, ad esempio, intervenire sul salario dignitoso. Non è una concessione, ma è un diritto umano universale (Art.23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). La Clean Clothes Campaign nel 2023 ha stimato che nei 26 Paesi principali produttori di abbigliamento, i lavoratori percepivano meno della metà del salario dignitoso. Questo significa non riuscire a soddisfare i bisogni basilari.

Leggi anche: L’industria della moda continua a sfruttare le donne

Guadagnare sempre di più, produrre di più, al minor costo possibile, e più velocemente è il modello di business imperante. Pensa al modello di produzione della fast fashion e dell’ultra fast fashion.

Ecco perché una moda sostenibile non può essere tale se non mette in equilibrio la sfera ambientale con quella sociale.

Le 12 aree di impatto su cui intervenire: la moda al 2030

Come anticipato, lo studio di Public Eye propone 12 principali aree di intervento che riguardano l’impatto ambientale e sociale della moda.

Di seguito un riassunto le aree prioritarie per la trasformazione del sistema moda al 2030.

La sintesi dei 12 punti è tratta dalla traduzione italiana della Campagna Abiti Puliti.

1) Ridurre l’uso di materiali vergini e la sovrapproduzione

La quantità totale di materiale vergine in ingresso si riduce del 40%. La quota di materiale riciclato da fibra a fibra è aumentata ad almeno il 15%.

2) Rallentare la moda, ridurre i rifiuti

Il numero di giorni in cui gli abiti sono effettivamente utilizzati viene mediamente raddoppiato. Tutti gli abiti usati vengono raccolti separatamente e almeno il 50% viene riutilizzato in prossimità. Il volume dei rifiuti di abbigliamento non recuperati viene dimezzato. Le politiche settoriali e aziendali prevedono per la maggior parte misure per garantire condizioni di lavoro dignitose e sostenibilità ambientale nella fase successiva all’uso e al riuso.

3) Favorire una transizione agroecologica dell’agricoltura al servizio della moda

Nessuna deforestazione o altra modifica d’uso dei terreni per destinarli alle colture di fibre o per l’industria del cuoio. Spostare di almeno il 50% la produzione di fibre naturali verso sistemi agroecologici.

Ridurre del 10% i materiali naturali vergini. Eliminare gradualmente i pesticidi altamente pericolosi, ridurre del 75% i restanti prodotti agrochimici. Sradicare la schiavitù moderna e il lavoro minorile nei processi produttivi. Prezzi di riferimento per il cotone parametrati a redditi dignitosi per almeno il 50% degli acquisti.

Leggi anche: Schiavitù moderna al secondo posto c’è l’industria della moda

4) Mitigare le emissioni di gas a effetto serra

Ridurre le emissioni assolute di gas serra nel settore moda di almeno il 60% rispetto al 2019. Almeno la metà delle aziende sviluppa strategie di decarbonizzazione nell’ambito di un autentico dialogo sociale con i lavoratori e le organizzazioni sindacali.

5) Porre fine alla dipendenza della moda dalla plastica

Ridurre del 60% i materiali vergini provenienti da fonti fossili. Dimezzare il rilascio di microplastiche nell’ambiente.

6) Garantire un uso sostenibile dell’acqua e dei prodotti chimici

Le sostanze chimiche più pericolose sono vietate in tutto il settore (elenco Detox e PAN HHP).

Tutte le acque reflue e i fanghi vengono trattati, analizzati e monitorati in modo trasparente.

Tutti i lavoratori hanno accesso all’acqua potabile, ai servizi igienici e all’igiene sul posto di lavoro e nei dormitori.

7) Garantire un orario di lavoro corretto

L’orario di lavoro regolare è limitato a 40 ore settimanali, in prospettiva meno. Una pianificazione affidabile e a lungo termine della produzione diventa la norma nelle catene di fornitura della moda.

8) Garantire luoghi di lavoro sicuri e salubri

In tutti i luoghi di lavoro operano servizi efficienti di salute e sicurezza. II lavoratori sono protetti da efficaci programmi di prevenzione e sicurezza i lavoratori sono efficacemente protetti dal caldo, dal freddo e da altri rischi climatici sul posto di lavoro e dalla perdita di reddito in caso di emergenze climatiche.

9) Pagare salari dignitosi

I salari di tutti i lavoratori aumentano fino a raggiungere almeno il livello di salario dignitoso. Viene raggiunta la parità retributiva tra i sessi.

10) Proteggere i diritti sindacali

La libertà di associazione non è più sistematicamente violata. La contrattazione collettiva è la norma e almeno la metà dei lavoratori è coperta da contratti collettivi. Donne, immigrati, lavoratori a domicilio e altri gruppi di lavoratori spesso discriminati sono rappresentati in modo più equo nei sindacati e nella loro dirigenza.

11) Garantire rapporti di lavoro sicuri e protezione sociale

Tutti i lavoratori hanno rapporti di lavoro e contrattuali formali e corretti. I sistemi pubblici di sicurezza sociale sono migliorati, almeno il 75% dei lavoratori gode della protezione di misure in linea con gli standard minimi dell’ILO (ILO C102).

12) Porre fine alla discriminazione, alla violenza di genere e alle molestie

Tutti i luoghi di lavoro attuano politiche inclusive e di genere, e si dotano di comitati di tutela per prevenire ed eliminare discriminazioni, violenze e molestie. Tutti i lavoratori hanno accesso a un meccanismo riservato per segnalare inadempienze.

Questi 12 aree di impatto ambientale e sociale del tessile e moda, fanno capire quanto sia necessaria una trasformazione del settore.

Al di là delle azioni volontarie delle aziende, che non bastano, dei provvedimenti dei governi, quelli dell’Unione europea, secondo Public Eye è necessaria una discussione aperta che metta sul piatto obiettivi concreti. Per questo tutti possono far parte della discussione, inclusi i consumatori attenti che vogliono una moda diversa, pulita ed etica.

Fino ad aprile 2025 è possibile partecipare on line a 4 incontri con gli autori del report su temi che vanno dalla sovrapproduzione al lavoro dignitoso.

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