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Buy Now! Documentario sull’inganno del consumismo

Le 5 tattiche delle multinazionali per indurci a consumare sempre di più e aumentare i loro profitti.

Hai visto il documentario su Netflix “Buy Now! L’inganno del consumismo“? Se non hai avuto modo ti consiglio di farlo. Intanto, ti anticipo qualcosa.

Questo documentario getta una luce su come le grandi multinazionali fanno enormi profitti inducendo tutti noi a consumare sempre di più. Come? Utilizzando nella maniera più negativa possibile il marketing, quello cattivo e manipolatore che fa leva sulle nostre debolezze in modo scientifico. Nulla è lasciato al caso.

Scritto e diretto da Nic Stacey, in 80 minuti circa ci porta dentro le 5 regole utilizzate dalle aziende per massimizzare il profitto. A fare da guida una voce narrante dal tono freddo e meccanico. È un’assistente personale di nome Sasha creata per svelare i segreti che conducono al successo negli affari.

La metodologia utilizzata per ogni regola è spiegata da ex dipendenti e manager pentiti da un sistema iperproduttivo e iperconsumistico che sta creando conseguenze ambientali e sociali devastanti. Tra di loro Eric Liedke ex presidente di Adidas, Nirav Patel, ex sviluppatore software alla Apple, Maren Costa ex dipendente Amazon come principal user experience designer, cioè responsabile del miglioramento dell’esperienza di acquisto. 

Vedrai montagne di rifiuti di vestiti, di rifiuti elettrici ed elettronici, di imballaggi di plastica, ma questo ormai è risaputo. E diciamo che finora non ha avuto molto effetto sull’opinione pubblica.

Forse farebbe più leva conoscere il livello di manipolazione e di inganno al quale siamo quotidianamente sottoposti. In pratica paghiamo per farci prendere in giro.

Vuoi sapere quali sono le 5 regole utilizzate dalle aziende per massimizzare i profitti?

Che siano aziende di moda o di elettronica, di qualsiasi tipo, le regole sono queste.

1) Produrre sempre di più. Per farlo è molto semplice, basta collocare sul mercato con continuità nuovi prodotti e creare il desiderio di comprarli. Come dice la voce narrante, il settore moda è un esempio di crescita rapida e spontanea.  Infatti, pensa alle 52 collezioni annuali della fast fashion e a una industria globale della moda che produce oltre 100 miliardi di articoli all’anno. Nel documentario vengono citati i principali brand, tra i quali Shein, Gap, Zara, H&M.

2) Scartare di più. Come? Scoraggiare in ogni modo la riparazione dei prodotti. Progettarli in modo che sia difficile ripararli, che sia più costoso rispetto all’acquisto del nuovo. Pensa all’obsolescenza programmata degli apparecchi elettrici ed elettronici, alla sostituzione rapida degli smartphone con nuovi modelli. Al riguardo scoprirai che ogni giorno vengono buttati 13 milioni di telefoni, significa che vengono rimpiazzati ogni 2 o 3 anni.

Oppure i vestiti della fast fashion o dell’ultra fast fashion: dopo qualche giro in lavatrice sono da buttare. Senza contare la produzione continua di nuovi stili per indurre a cambiare il guardaroba.

3) Mentire di più. È essenziale per conquistare la fiducia del cliente. In questo la pratica del greenwashing è molto utile. Significa fare credere di aver a cuore la sostenibilità ambientale, quando invece all’azienda non importa un fico secco. Anche qui l’industria della moda è un esempio lampante. Nel documentario vedrai una giovane donna che porta i suoi abiti usati a una catena di fast fashion pensando che poi saranno riciclati, come dice il brand. Invece, finiscono in discarica. Come quelle in Ghana, un paese di 30 milioni di abitanti che ogni settimana riceve 15 milioni di vestiti usati. Quantità stratosferiche impossibili da gestire. Tant’è che montagne di vestiti hanno invaso le sue coste.

Leggi anche: Ecco che fine fanno i vestiti usati portati nei negozi dei brand per il riuso o il riciclo

C’è poi la questione dei rifiuti elettrici ed elettronici. Esportarli all’estero è illegale. Eppure il documentario dimostra il tracciamento di un monitor a cristalli liquidi: consegnato a un impianto di riciclaggio a Dresda, in Germania, parte per il porto di Anversa, in Belgio, e finisce in una discarica in Thailandia dove operai, senza alcuna protezione, spaccano ogni tipo di dispositivo a mano liberando sostanze tossiche.

4) Occultare di più. Nascondere tutto. Ad esempio l’invenduto va distrutto, tagliato a pezzi, deve essere inutilizzabile. Non può essere rivenduto a prezzi ribassati, ne va del buon nome dell’azienda. Distruggere, occultare, non far vedere. Giocattoli, vestiti, borse, qualsiasi cosa. Persino beni alimentari. Gli scarti non sono argomento di discussione per le aziende. Non è un problema loro.

5) Controllare di più. «Questa è la regola principale», dice la voce narrante, avvertendo che una strategia sulla massimizzazione del profitto porta inevitabilmente a conseguenze ambientali.

Quindi l’azienda deve fare credere che ha a cuore l’ambiente e che sta risolvendo il problema. Questo va affrontato attraverso un controllo totale della comunicazione, a partire da tutti coloro che fanno parte dell’azienda.

Leggi anche: Fuorimoda! Il libro di Matteo Ward sull’insostenibilità della moda

E chi dissente? Non importa, viene licenziato. Come è accaduto a Maren Costa co-fondatrice del movimento Amazon Employees for Climate nato per sollecitare Amazon a impegnarsi concretamente contro la crisi climatica. La Costa criticò anche le misure di sicurezza insufficienti contro il Covid 19 prese da Amazon verso i suoi magazzinieri.

Ecco, conclude la voce narrante del documentario Buy Now! L’inganno del consumismo. «Seguite queste 5 regole e il mondo sarà vostro».

Il loro sì, ma non il nostro.

Buona visione.

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