Non perderti Junk – Armadi Pieni, un nuovo faro sugli effetti sociali e ambientali della fast fashion. Una docuserie in 6 puntate disponibile sul canale YouTube di Sky Italia (più avanti ti fornirò il link a ogni puntata), oltre che su Sky e su NOW (on demand).
Come ti dicevo, si tratta di 6 puntate girate in 6 Paesi per documentare l’impatto sull’ambiente e sulle persone dell’iperproduzione e sovraconsumo di abbigliamento e calzature. Un racconto verità dal Cile al Ghana, dall’Indonesia all’India, dal Bangladesh all’Italia.
La docuserie è co-prodotta da Will Media e Sky, è scritta e diretta da Olmo Parenti e Matteo Keffer di A Thing By. A raccontare le conseguenze sociali e ambientale di una produzione e consumo bulimici di moda è Matteo Ward, imprenditore e attivista, divulgatore e co-autore del documentario.
Ogni anno in Europa vengono scartati 5,8 milioni di tonnellate di vestiti, ben 11 kg a persona. Tonnellate e tonnellate di abbigliamento che non si riesce a riciclare o a riutilizzare. Dove vanno a finire? nelle discariche di altri Paesi.
Come documenta Junk – Armadi Pieni i nostri vestiti scartati finiscono in Cile (guarda il primo episodio) nell’ormai nota discarica di Atacama, in Ghana nella discarica di Accra (guarda il secondo episodio).
Junk – Armadi Pieni ci porta in Bangladesh (guarda il terzo episodio). Qual è oggi la situazione dopo 10 anni dal disastro del crollo del Rana Plaza? Sotto le macerie morirono 1.134 persone, soprattutto giovani donne, mentre cucivano i nostri vestiti. Cosa è cambiato da allora?
Dal Bangladesh all’Indonesia (guarda il quarto episodio) dove le foreste pluviali vengono disboscate per la produzione della viscosa (rayon).
Il viaggio poi prosegue in India per scoprire come siamo riusciti a cambiare millenni di cultura del cotone (guarda il quinto episodio).
Infine, c’è l’Italia perché i problemi li abbiamo anche qui da noi (guarda il sesto episodio).
Il documentario ha l’obiettivo di contribuire a una maggiore consapevolezza sulle nostre abitudini di acquisto. Perché è proprio dalle nostre scelte che questa situazione può cambiare in meglio. Significa accelerare un processo di cambiamento attivato un anno fa dalla Commissione europea con la Strategia per i prodotti tessili sostenibili e circolari in cui si afferma la fine della fast fashion al 2030.
Abbiamo detto no all’olio di palma nell’alimentare, diciamo no anche alla fast fashion.
Consumiamo meno e scegliamo meglio. Amiamo quello che compriamo e facciamolo durare.
Infine, se vuoi approfondire ulteriormente, leggi e guarda l’inchiesta “Trashion“ ambientata in Kenya.
Ultimo aggiornamento, 18/9/2023