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Made in Pakistan, nelle fabbriche di abbigliamento in sicurezza

In Pakistan sono circa 4 milioni i lavoratori del settore tessile e abbigliamento. Sono soprattutto donne. Lavorano all'interno di fabbriche insicure o a domicilio per rifornire i principali marchi di moda globali. Ma ora a loro tutela c’è un importante accordo.

L’Accordo internazionale per la salute e la sicurezza nell’industria tessile e dell’abbigliamento (in origine Bangladesh Accord) è stato esteso al Pakistan. L’obiettivo è quello di mettere in sicurezza 500 fabbriche che riforniscono 100 marchi internazionali.

Quando nel 2021 il Bangladesh Accord è diventato un Accordo internazionale, il Pakistan è stato indicato come il primo Paese al quale estenderlo.

In Pakistan, infatti, l’insicurezza nelle fabbriche di abbigliamento e tessile regna sovrana. Stando ai dati disponibili, secondo un’indagine di Clean Clothes Campaing,  tra gennaio 2021 e gennaio 2022 ci sono stati 26 morti di cui 16 solo nell’agosto 2021, a causa di un incendio in una fabbrica di valigie e portafogli a Karachi.

Non solo, da gennaio 2022 sono noti circa 24 infortuni e dall’inizio del 2021 almeno 43 gravi incidenti.

In Pakistan l’incendio più grave dell’industria del fashion

Il programma sulla salute e sicurezza per il Pakistan è stato costruito sulla base del Bangladesh Accord nato nel 2013 a seguito del crollo del Rana Plaza ad Acca dove morirono 1.200 persone. Grazie a questo accordo sono state messe in sicurezza, con interventi critici di ristrutturazione, oltre 1.600 fabbriche e le 2,5 milioni di persone che vi lavorano.

Ancor prima della tragedia del Rana Plaza, l’11 settembre del 2012 il Pakistan ha contato 250 morti e 55 feriti nell’incendio della fabbrica di abbigliamento Ali Enterprises di Karachi. Molte persone quel giorno rimasero intrappolate da finestre e porte bloccate, non c’erano né vie di fuga né sistemi antincendio e di allarme.

Secondo dati Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro), parliamo di un Paese nel quale lavorano oltre 2 milioni di persone nelle fabbriche di abbigliamento. Ma ce ne sono quasi altre 2 milioni che lavorano a domicilio e l’80% sono donne.

Si tratta di stime perché il lavoro informale è estremamente diffuso. Infatti, l’85% non ha un contratto di lavoro né nessun tipo di sicurezza sociale. Chi lavora nelle fabbriche ha un contratto di lavoro a cottimo.

Oltretutto, si tratta persone ampiamente sottopagate.

Quanto viene pagato un lavoratore tessile in Pakistan?

Con un salario già povero, il divario di genere è evidente. Stando ai dati pre-pandemia, il salario medio per le donne si aggirava tra 8.000 e 10.000 rupie pakistane (PKR), circa 35/40 euro al mese. In pratica, quasi la metà del salario minimo legale di 17.500 PKR del 2020 e un terzo del salario di sussistenza pari a 35.000 PKR. I salari dei lavoratori maschi, invece, variavano tra 15.000 PKR e 20.000 PKR.

Secondo stime più aggiornate riportate nella mappa di Good Clothes Fair Pay il divario tra il salario minimo legale e quello di sussistenza (cioè calcolato sul costo della vita e sui bisogni primari del nucleo familiare) è di circa il 53%. Elevatissimo. Significa che i lavoratori del tessile e abbigliamento in Pakistan percepiscono meno della metà di quanto dovrebbero ricevere per vivere dignitosamente.

A proposito di salario dignitoso, se vuoi che chi cuce i tuoi vestiti sia pagato dignitosamente, metti la tua firma per un salario vivibile ovunque si produca abbigliamento e calzature, Italia inclusa. Bastano pochi secondi per firmare la petizione online Good Clothes Fair Pay, c’è bisogno di un milione di firme.

Leggi l’articolo Servono un milione di firme per un salario dignitoso nel tessile e moda o vai direttamente al sito della campagna per aderire a questa iniziativa dei cittadini dell’Unione europea.

Cosa succede con il nuovo accordo in Pakistan

Ora che l’accordo è stato esteso anche al Pakistan è fondamentale che venga siglato dai marchi di moda che producono in questo Paese. L’accordo internazionale (ex Bangladesh Accord) è stato sottoscritto da 190 marchi di cui la metà si riforniscono anche in Pakistan.

La loro firma li vincolerebbe a essere responsabili della sicurezza e della salute dei lavoratori che producono per loro.

Infatti, l’accordo per il Pakistan è legalmente vincolante per i marchi e prevede:

  1. dopo aver effettuato ispezioni complete e trasparenti su salute e sicurezza per individuare i pericoli, impone piani di ristrutturazione con scadenze precise per eliminarli;
  2. garantisce che i fornitori abbiano le risorse per pagare i lavori di ristrutturazione;
  3. protegge tutti i lavoratori della catena di fornitura dei marchi;
  4. offre ai lavoratori una via confidenziale per far emergere problemi urgenti di sicurezza e salute e garantisce una rapida azione correttiva;
  5. documenta le proprie attività attraverso una straordinaria trasparenza pubblica.

“Siamo lieti che l’innovativo Accordo arrivi finalmente in Pakistan, dove è necessario come non mai. Tutti i marchi che si riforniscono in Pakistan aderiscano prontamente all’accordo”, ha dichiarato Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti.

I marchi potranno sottoscrivere l’accordo a partire dal 16 gennaio 2023.

Tutelate anche le lavoratrici tessili a domicilio

L’accordo si rivolgerà anche alle donne che lavorano in casa come ha spiegato Zehra Khan, Segretario generale della Federazione delle lavoratrici a domicilio: “Il programma dell’Accordo porterà ispezioni, corsi di formazione sulla sicurezza e un meccanismo di reclamo che coprirà tutte le questioni di salute e sicurezza, compresa la violenza di genere”.

Inoltre: “Sarà necessario garantire che le lavoratrici, che spesso non sono ufficialmente registrate e potrebbero lavorare da casa, abbiano lo stesso accesso a questo programma come gli altri lavoratori“.

Il Pakistan è tra i principali produttori globali di tessile e abbigliamento. Le esportazioni valgono 20 miliardi di dollari all’anno.

Quali sono i marchi di abbigliamento che producono in Pakistan?

La lista è lunga, come anticipato all’inizio dell’articolo sono almeno 100 i marchi che producono abbigliamento in Pakistan e che hanno già siglato l’Accordo internazionale sulla salute e sicurezza nel tessile e abbigliamento.

Ma, tanto per dare un’indea, cito alcuni brand sulla base delle denunce dei lavoratori riportati dall’indagine di Clean Clothes Campaing da gennaio 2021.

  • Lavoratori che forniscono costantemente marchi come C&A, H&M, Adidas, Fast Retailing, Next e Bestseller hanno riferito il blocco delle uscite nelle loro fabbriche.
  • Lavoratori nelle fabbriche che producono per C&A, H&M, Primark, Mango e Bestseller (Vero Moda) hanno riferito di aver assistito a esplosioni e di essere stati esposti a scosse elettriche e sostanze nocive.
  • Lavoratori delle fabbriche che forniscono Inditex (Zara), Lindex, Bestseller e H&M hanno riferito di aver assistito a un incendio nelle loro fabbriche. A questo si aggiungono segnalazioni pubbliche di fughe di gas in una fabbrica che produce per H&M, PVH, G-Star, Target Australia, Target Corporation (USA) e Levi’s.

Ma quali sono i marchi che ancora non hanno aderito l’accordo internazionale sulla salute e sicurezza nel tessile e abbigliamento? Tra i marchi non firmatari ci sono Levi’s, Gap, Nike e Kontoor (Lee, Wrangler). Con l’accordo esteso al Pakistan è arrivata l’occasione per farlo.

Foto di Alexander Andrews su Unsplash

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