Quali sono i marchi di abbigliamento che fanno maggior uso dei tessuti sintetici? In pratica, della plastica? Non a caso in testa alla classifica c’è il marchio dell’ultra fast fashion boohoo. D’altra parte la moda a basso costo non può fare a meno di fibre sintetiche.
I tessuti sintetici derivati da gas e petrolio per i marchi di moda globali garantiscono grandi volumi di produzione a buon mercato.
Infatti, dal 2000 a causa del fast fashion, la produzione di abbigliamento è raddoppiata, così come l’uso del poliestere che da solo vale oltre la metà di tutte le fibre utilizzate.
A un anno dall’ultimo rapporto Changing Markets Foundation ha pubblicato la seconda indagine Synthetics Anonymous 2.0 sull’utilizzo di fibre sintetiche da parte dei principali marchi di moda globali.
Dall’indagine emerge che l’industria della moda è legata a doppio filo all’utilizzo di tessuti sintetici. E questo nonostante l’accelerazione della crisi climatica e dell’inquinamento causato dalle microplastiche.
Insomma, il quadro è a dir poco sconfortante, ma almeno con una buona notizia.
Reformation e boohoo agli antipodi sull’uso delle fibre sintetiche
Su 55 marchi analizzati, attraverso questionari e analisi documentali, solo il marchio Reformation si è impegnato a eliminare gradualmente i sintetici vergini entro il 2030 e a ridurre tutti i materiali sintetici (vergini e riciclati) a meno dell’1% entro il 2025.
Solo 33 aziende hanno rivelato il volume e la percentuale dei loro sintetici e appena 4 l’elenco dei fornitori. Insomma, l’origine della materia prima è sconosciuta anche nel caso delle fibre sintetiche.
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Ad ogni modo, su 33 marchi, il brand di moda ultra veloce boohoo risulta il più dipendente dai sintetici con una percentuale del 64% sul totale delle fibre utilizzate. In termini di volume, invece, la vetta spetta a Nike e a seguire Inditex (Zara).
Dietro alle dichiarazioni “verdi” c’è il poliestere riciclato
Nonostante le dichiarazioni “verdi”, i marchi continuano a nascondere la loro dipendenza dalle fibre sintetiche. Dietro gli impegni sull’aumento di materiali “sostenibili”, il più delle volte c’è il poliestere riciclato da bottiglie di PET.
Infatti, molti marchi dipendono dal poliestere riciclato quasi completamente rispetto al totale delle fibre riciclate, come Morrisons (100%), Next (97%) e Puma (93%).
La dipendenza dalle bottiglie di PET per la produzione di fibre tessili si scontra con gli obiettivi obbligatori di contenuto riciclato per l’industria delle bevande.
Infatti, nella Strategia dell’Unione europea per i prodotti tessili sostenibili e circolari, la Commissione si sofferma sulle dichiarazioni ecologiche dei brand che impiegano tessuti in poliestere riciclato da bottiglie di PET.
Ebbene: “Tale pratica non è in linea con il modello circolare”. Piuttosto, la Commissione incoraggia le aziende a puntare sul riciclo da fibra a fibra e non dalle bottiglie di PET .
Senza contare che il poliestere riciclato non risolve il problema delle microplastiche (leggi: Tessuti sintetici: 5 motivi per cui il poliestere riciclato non è una soluzione).
I marchi che stanno investendo sul riciclo da fibra a fibra
Riguardo poi al riciclo da fibra a fibra, solo una manciata di marchi ha rivelato l’importo totale investito. Sono Reformation, Tesco, H&M Group e Hugo Boss.
Sul riciclo da fibra a fibra, H&M Group nel 2021 ha investito 3,7 milioni di euro. Si tratta di una somma che comunque rappresenta lo 0,04% dell’utile lordo del Gruppo, pari a 9,58 miliardi di euro nell’ultimo esercizio finanziario.
La buona notizia: i marchi chiedono una regolamentazione
Alla fine una buona notizia c’è. Il rapporto Synthetics Anonymous 2.0 rivela che i marchi di moda appoggiano le politiche proposte nella Strategia tessile dell’UE.
Infatti, l’81% è a favore della Responsabilità estesa del produttore (EPR), l’87% lo è sull’eco-design, il 94% è d’accordo su una legislazione contro il greenwashing, le dichiarazioni “verdi”. Inoltre, l’83% è a favore di un obbligo sulla trasparenza della catena di approvvigionamento.
Bisognerà vedere se ai principi seguiranno i fatti. Tuttavia, anche i marchi stanno segnalando che il settore ha bisogno di una regolamentazione.
È ora di andare oltre alle azioni volontarie.
Foto di Skylar Kang