bandiera ue e donne con due donne che camminano con buste per acquisti di moda
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Moda europea: 8 anni di ritardo sul taglio delle emissioni serra

La crisi climatica non aspetta. Le aziende della moda europea o investono di più oppure dovranno vendere meno. A quanti vestiti dovremmo rinunciare?

L’industria della moda europea sta riducendo le emissioni di gas serra? Non abbastanza, tant’è che andando di questo passo gli obiettivi fissati dall’Unione europea al 2030 saranno raggiunti con 8 anni di ritardo. Cioè al 2038.

Ruota intorno a questo dato il report “Just fashion transition 2024” realizzato da The European House-Ambrosetti (Teha) e presentato al Venice Sustainable Fashion Forum.

Servono tanti soldi per decarbonizzare la filiera, significa passare dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili e investire ulteriormente in efficienza energetica.

Così, l’industria della moda in Europa è a un bivio: o investe molto di più oppure deve ridurre le vendite. Il che significa meno acquisti. In pratica, secondo i calcoli degli esperti che hanno curato il Report, dovremo “rinunciare” ogni anno a un capo su tre. Il che non dovrebbe essere un problema. Abbiamo gli armadi pieni.

Quanto costa decarbonizzare l’industria della moda europea?

Per decarbonizzare la filiera del fashion si stimano dai 24,7 ai 29,1 miliardi di euro entro il 2030. Con questi investimenti si riuscirebbero a tagliare ulteriori 76,1 milioni di tonnellate di CO2, rientrando così nei limiti dell’abbattimento del 55% delle emissioni serra al 2030, secondo il piano Ue per la transizione verde Fit for 55%.  

Senza questi investimenti le perdite per il settore sarebbero circa 8 volte superiori rispetto all’investimento richiesto.

Un bel dilemma, specie per le piccole e medie imprese che rappresentano il 98% del settore e che hanno meno capacità finanziaria rispetto ai grandi gruppi.

Tant’è che 34 delle 100 principali aziende europee del settore stanno riducendo le proprie emissioni a una velocità doppia rispetto a quella richiesta dalla piano Ue. Questo dimostra che se da un lato la decarbonizzazione è possibile dall’altro il resto del settore è fortemente in ritardo.

Leggi anche: La moda è fossile e va a tutto gas serra

Ad ogni modo, il quadro generale dice che i grandi brand stanno iniziando timidamente a supportare o a creare alleanze per sostenere la transizione verde nelle loro catene di fornitura. Cosa fondamentale visto che il grosso delle emissioni proviene da stabilimenti produttivi che sono al di fuori del controllo diretto dei brand.

Comunque, solo il 4% dei marchi fornisce dettagli sul sostegno alle iniziative di sostenibilità al di fuori dell’ambito aziendale. Inoltre, solo il 24% rendiconta gli investimenti dedicati a soluzioni di efficienza energetica all’interno delle proprie catene di fornitura.

Gli armadi sono pieni, ma gli acquisti salgono

Leggendo il Report colpiscono una serie di dati, che fanno ben capire l’attuale squilibrio dei livelli di produzione e consumo.

Mentre la Commissione Europea spinge verso il recupero dei rifiuti tessili e la rendicontazione sui prodotti invenduti, la realtà è ancora un’altra.

La distruzione dei prodotti restituiti e invenduti rappresenta tuttora un comune metodo di smaltimento. «Ogni anno – è scritto nel Report – si stima la distruzione di 264mila-594mila tonnellate di prodotti tessili, il 4-9% del mercato. Inoltre, mentre fino al 79% dello stock invenduto viene recuperato, solo il 57% dei resi online riesce a essere gestito nello stesso modo, con costi di trattamento pari al 55-75% del prezzo al dettaglio.

Leggi anche: La giostra dei resi online l’indagine di Greenpeace e Report

Nel frattempo, nonostante tutto questo spreco assurdo, i consumi di abbigliamento e scarpe sono stimati in crescita, cosa che fa a pugni con il taglio delle emissioni.

Tant’è che «confrontando i volumi di consumo, la spesa dei consumatori e i prezzi medi unitari, ai tassi attuali, si prevede che gli europei aumenteranno il consumo apparente pro capite di abbigliamento e calzature del 31% al 2030», si legge nello Studio. Questo significa oltre 69 articoli acquistati ogni anno a testa. Una enormità.

Leggi anche: Quanti vestiti dovremmo avere nell’armadio?

Un tasso di consumo incompatibile con il taglio delle emissioni. «In uno scenario estremo in cui le aziende non riescono a sostenere gli investimenti necessari per la decarbonizzazione, toccherà ai consumatori europei ridurre i propri acquisti».

Significa che degli attuali 62 articoli acquistati all’anno si scenderà a 48 nel 2030. Cioè meno 14 rispetto a oggi e meno 21 secondo le previsione di crescita. Una decrescita dei consumi che se da una parte ridurrebbe le emissioni serra e l’impatto ambientale in generale, dall’altra «comporterebbe perdite economiche per tutte le imprese del settore».

Come se ne esce?

È evidente che l’industria della moda si regge su uno squilibrio precario. L’attuale tasso di crescita di produzione e consumi non è sostenibile. Abbiamo gli armadi pieni e il 36% di quello che c’è dentro è inutilizzato. In più, gran parte di quello che scartiamo finisce o bruciato o nelle discariche di mezzo mondo. Produrre e consumare meno e meglio è essenziale.

Sostenere il settore verso il passaggio a una industria sostenibile, dal punto di vista economico, sociale e ambientale, è altrettanto essenziale.

Le piccole e medie imprese da sole non ce la possono fare. Tant’è che gli investimenti richiesti sembrano difficilmente sostenibili per il 92% delle aziende italiane della filiera, precisa lo Studio.

Per questo tra le cinque proposte avanzate in “Just fashion transition 2024”, per accelerare la decarbonizzazione, ci sono: la necessità di semplificare l’accesso al credito per le piccole e medie imprese, in modo da non lasciare indietro nessuno, completare il quadro delle normative a livello Ue (il 56% è ancora a livello di proposta), sviluppare piani industriali nazionali nella moda per condividere tempi, metodi, strumenti e combinare finanziamenti pubblici e privati.

Leggi anche: La sostenibilità nella moda 2024 in Italia

Il tempo stringe, il 2030 è oggi. La crisi climatica non aspetta. L’industria della moda, come tutti gli altri settori, è chiamata a fare la sua parte, insieme alle istituzioni. Mentre per noi, fruitori della moda, è arrivato il momento di evitare la quantità, gli acquisti impulsivi, non necessari.

Avere cura di quello che già abbiamo. Puntare, secondo le proprie possibilità, sulla qualità. Sulla moda fatta bene e durevole, portatrice di bellezza e valore sociale. Sono queste le scelte che aiutano il cambiamento verso una moda più equa, giusta e a basse emissioni.

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