La moda upcycled è una grande opportunità per ridurre i rifiuti tessili e creare nuovi capi di abbigliamento grazie al riciclo creativo. D’altra parte qual è la scelta più sostenibile se non riutilizzare quello che già c’è? Di upcycling nella moda si sta parlando molto e se ne parlerà sempre di più.
Le possibilità per scegliere moda upcycled non mancano, tra queste c’è il marketplace Appcycled che aggrega le proposte di designer particolarmente creativi, capaci di creare qualcosa di unico e inimitabile a partire da tessuti di scarto di qualità.
Il marketplace è stato fondato da Diletta Pollice, una giovane imprenditrice per una giovane startup. Infatti, Appcycled è nato a luglio 2021 e propone diverse possibilità di scelta di moda sostenibile upcycled: abbigliamento, accessori e anche arredo casa.
Per sapere qualcosa di più su Appcycled e come funziona, ho fatto alcune domande alla fondatrice che mi ha raccontato anche la sua esperienza nella moda e la sua formazione.
Diletta, come nasce Appcycled?
L’idea nasce tra il 2020 e l’inizio del 2021. Lavoravo nella moda e ho visto i problemi legati alla produzione e, in particolare, alla generazione dei rifiuti tessili. Così, mi sono chiesta come era possibile riutilizzare tutto questo materiale. Durante la quarantena, quando tutti eravamo chiusi in casa, ho iniziato ad informarmi e ad approfondire la questione. Attraverso i social media ho conosciuto diversi designer che dai tessuti di scarto creavano capi unici, sartoriali, di qualità. Mi sono detta che era arrivato il momento di aiutarli, farli conoscere e raccontarli.
Così, da questa idea è nata Appcycled, una piattaforma online per investire sui designer del riciclo creativo, aiutandoli a vendere online e offline. Tutto questo ha dato vita al marketplace Appcycled e vediamo cosa diventerà in futuro.
Ho letto che durante la quarantena hai iniziato a rifare il tuo guardaroba con quello che era già nel tuo armadio. Mi racconti meglio?
Avevo tanto tempo a disposizione e così ho iniziato a riordinare il mio armadio. Ho messo da parte alcuni indumenti di cui volevo disfarmi. Poi però li ho osservati meglio e ho pensato di riutilizzarli modificandoli. Li ho reinventati con la mia creatività. Siccome mi piace cucire, per me è una passione, ho cercato di modificarli facendo anche alcune ricerche sui social, come pinterest, dove ho conosciuto diversi brand e designer di upcycling che mi hanno ispirata.
Quanti capi hai reinventato?
Durante la quarantena una trentina, però continuo a farlo. Nel senso che se vedo qualcosa che mi piace cerco di reinventarlo con qualcosa che ho già nell’armadio. Se il capo è rovinato lo riparo oppure applico delle patch o ricorro al ricamo.
Quando hai imparato a cucire?
Ho imparato a cucire intorno a 16-18 anni perché volevo fare da me i miei vestiti. In quel caso andavo a comprare il tessuto e poi cucivo. Ho imparato un po’ da sola e un po’ con mia nonna per divertimento. Ho anche fatto un corso di modellistica. Mi piace molto il fai da te.
Qual è la tua formazione?
Sono laureata in economica.
Con la moda, i tuoi studi non sembrano molto attinenti…
In effetti, no. Nonostante la mia passione, non mi sentivo abbastanza creativa da diventare una designer, quindi ho scelto un indirizzo che mi aprisse più possibilità. Insomma, mi sono detta facciamo economia e vediamo dove mi porta. Infatti, ho iniziato a lavorare comunque nella moda, nel settore marketing.
Lavorando nel settore moda, nel marketing, ti sei accorta che c’era qualcosa che non funzionava?
Sì, ho iniziato ad informarmi, mi interessava molto l’aspetto ambientale, in particolare, il ciclo di vita del prodotto. Cioè, una volta scartato dove va a finire? Solo l’1% dei tessuti viene riciclato in un nuovo tessuto per l’abbigliamento. Ancora oggi il riciclo da tessuto a tessuto è molto difficile, richiede molta manodopera oltre alla disponibilità di macchinari e tecnologie adatte. Quindi, è essenziale trovare nuove soluzioni, come l’upcycling.
Definizione semplice, cos’è l’upcycling nella moda?
L’upcycling è il riciclo creativo. La capacità di trasformare un rifiuto in qualcosa con un valore superiore rispetto a quello originario. Ci tengo a precisare che non è un riciclo meccanico, quindi industriale che richiede processi chimici, ma è solo frutto della creatività, della capacità di reinventare qualcosa partendo dal materiale che già c’è.
Chi ti ha aiutato nella fondazione della startup?
Un po’ mi sono messa in gioco raccontando la mia idea online e, attraverso la Rete, ho incontrato quelli che oggi sono i cofondatori di Appcycled. Mi hanno aiutata molto a delineare l’idea. Successivamente, abbiamo seguito alcuni corsi di incubazione che ci hanno aiutato a capire meglio il problema e i bisogni dei designer. Abbiamo ricevuto un grande supporto anche dalle community delle startup, sempre pronte a rispondere a ogni nostra domanda.
Chi sono i designer che fanno parte di Appcycled
Sono creativi, visionari. Sono persone che capiscono l’importanza di un materiale e riescono a immaginare la sua seconda vita. Inoltre, hanno un’ottima manualità. Sono artigiani.
Parliamo di materiali. In genere di quali materiali si stratta?
Il materiale può essere un tessuto vintage, magari corredi recuperati, capi vintage non utilizzati o materiali dead stock rimasti in magazzino per qualche stagione e che altrimenti andrebbero buttati. Tutti questi materiali vengono utilizzati sia per quanto riguarda il settore arredo che della moda. Cerchiamo di recuperare tessuti di qualità per creare capi importanti di fascia medio/alta.
Cosa devono fare i designer per entrare a far parte di Appcycled?
Innanzitutto, scriverci. Dopodiché li ricontattiamo per conoscere la loro storia. Di base cerchiamo di selezionare un upcycling di lusso, molto sartoriale. Non si tratta di rivisitare capi vintage, ma di creare capi assolutamente nuovi. Ad ogni modo, se la conoscenza va a buon fine, oltre che sulla piattaforma, il designer ha la possibilità di farsi conoscere e vendere anche in occasione dei temporary store che organizziamo su Milano.
Durante i temporary store, oltre a partecipare ai nostri workshop, il pubblico ha l’occasione di vivere un’esperienza unica: entrare a diretto contatto con i designer, parlare con loro e conoscere la storia che è dietro l’idea di un determinato prodotto. Una volta, questo rapporto era possibile con il sarto. Spesso sono designer che cuciono direttamente gli abiti oppure si appoggiano alle sartorie sociali di zona. Il più delle volte lavorano da soli, non hanno un team alle spalle. Almeno per ora. L’obiettivo è farli crescere.
La stragrande maggioranza sono designer italiani?
Esatto e stiamo cercando di includerne altri dall’Europa. Come Vaer, un’azienda di Copenaghen che sta realizzando sneakers con materiale di scarto, dai jeans alle divise da lavoro dismesse.
Ho notato che sul marketplace, il capo rimane in vetrina anche se esaurito. Quindi si può comunque ordinare?
Certamente. Il capo rimane in vetrina, si può riordinare e viene fatto su misura. Ci sono designer che utilizzano il 3D in modo da non dover creare materialmente il capo, ma farlo solo quando ordinato. Nel caso dell’ordire su misura, le tempistiche possono essere un po’ più lunghe, però il bello è che si tratta di un pezzo unico che non avrà nessun altro. Per ordinare c’è il pulsante “scrivi al designer” e, una volta contattato, il designer seguirà il cliente per tutto il processo, dalle misure alla scelta del tessuto.
Ci sono consigli che ti senti di dare a ragazzi e ragazze che vogliono intraprendere la carriera del designer?
Tanta voglia di fare e molta costanza. Oggigiorno non si può non parlare di ecodesign, disegnare avendo in mente il fine vita di un prodotto. Quindi, specializzarsi in questa aerea diventerà molto importante nel prossimo futuro.
In passato che rapporto avevi con la fast fashion?
Compravo molto spesso, tutti i weekend acquistavo qualcosa di nuovo. Finché non conosci il lato oscuro dell’industria della moda, non ci pensi. Sono caduta anche io in certi slogan come “conscious”, pensando di comprare qualcosa di sostenibile quando non lo era. Anche io sono stata vittima della fast fashion e del greenwashing.
Cosa ti ha fatto scattare la molla?
È stato proprio lavorare nell’industria della moda, la continua spinta a vendere sempre di più. Ero nel marketing, quindi bisognava fare in modo di aumentare le vendite. Ci doveva essere una crescita continua e questo ha iniziato a mettermi un po’ di ansia. Magari le persone non hanno bisogno di tutto questo! Non possiamo continuare a crescere sempre! Cosa succederà di tutti i vestiti che buttiamo? Insomma, ho incominciato a farmi tante domande. Quando ho iniziato a cucire ho anche capito che i prezzi bassi della fast fashion non erano sostenibili. Il tempo per cucire una maglietta non è ripagato. Quindi, quello che non paghiamo noi lo paga chi quella maglietta l’ha cucita.
Ulteriori progetti per Appcycled?
Stiamo cercando di collaborare con aziende per recuperare i loro scarti tessili e reinventarli insieme a loro.
Oltre all’abbigliamento, sul marketplace ci sono borse, zaini e tanti accessori…
Sì, ci stiamo espandendo anche sulle categorie prodotto, cercando di dare la maggior offerta possibile di capi e prodotti upcycled.
Per sapere quando farete i prossimi temporary store?
Bisogna seguirci sui nostri canali social. In genere li organizziamo su Milano e in concomitanza con altri eventi che si tengono in città.