Cosa sono i confini planetari?
I confini planetari sono stati individuati per la prima volta nel 2009 dallo scienziato Johan Rockström insieme a un gruppo di 28 studiosi di fama internazionale. Se l’umanità opera all’interno dei 9 confini planetari, allora potrà prosperare e garantire un futuro sicuro alle generazioni a venire.
Ecco quali sono i confini planetari e quali sono stati superati:
- cambiamento climatico (confine superato)
- acidificazione degli oceani (vicino al superamento)
- riduzione dello strato di ozono in atmosfera
- degrado forestale e altri cambiamenti di utilizzo del suolo (confine superato)
- ciclo dell’azoto e fosforo (confine superato)
- cambiamento dell’acqua dolce (confine superato)
- perdita di biodiversità (confine superato)
- inquinamento atmosferico da aerosol
- inquinamento da sostanze chimiche (confine superato).

Al superamento di questi limiti ha contribuito, e continua a farlo, anche l’industria della moda. Ad esempio, riguardo alla perdita di biodiversità, consumo del suolo, cambiamento climatico, inquinamento delle acque e inquinamento da sostanze chimiche.
Come spiega la comunità scientifica, i limiti planetari sono interconnessi l’uno all’altro. Il superamento di un singolo confine influisce sugli altri. Solo rispettando tutti e 9 i confini, possiamo mantenere uno spazio operativo sicuro per la civiltà umana. Oltrepassare i confini aumenta il rischio di generare cambiamenti ambientali improvvisi o irreversibili su larga scala.
I record della sovrapproduzione
Eppure, l’industria della moda è ancora impegnata verso un modello di crescita insostenibile: da quando nel 2014 è stato raggiunto il record del miliardo di pezzi immessi sul mercato, la corsa a produrre e vendere sempre di più non si arresta. Infatti, si prevede che al 2029 il volume globale dei capi di abbigliamento raggiungerà oltre 198 miliardi di articoli. Un nuovo record.
Tutto questo sta generando una mole di rifiuti tessili ingestibile.

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Per produrre così tanti capi c’è bisogno di milioni di tonnellate di materia prima e quindi di uno sfruttamento spropositato di risorse naturali, di energia e di fonti fossili per produrre fibre sintetiche alle quali l’industria della moda è legata a doppio filo.
Non è un caso che dal 2000 la produzione delle fibre è più che raddoppiata raggiungendo 124 milioni di tonnellate nel 2023. Altro record. Continuando di questo passo al 2030 la produzione globale di fibre arriverà a 160 milioni di tonnellate, con una predominanza di fibre sintetiche, in pratica plastica.
Una crescita che non coincide né con l’aumento della popolazione né con i bisogni reali.
Questa situazione, come evidenzia da tempo Textile Exchange sta portando fuori strada l’industria della moda rispetto agli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra necessari per mantenere entro 1.5°C l’aumento della temperatura media secondo l’Accordo di Parigi.

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Pertanto, intervenire sulla sovrapproduzione, utilizzare meno risorse e consumare meno sono azioni essenziali per ridurre la pressione sull’ambiente e sui confini planetari.
I livelli di produzione e di consumo sono strettamente collegati. Infatti, come sottolinea Public Eye, anche se l’industria della moda riuscisse a ridurre del 60% l’uso di materie prime vergini di origine fossile, oltre che del 10% quelle di origine naturale, e in più riuscisse a portare al 15% il riciclo da fibra a fibra, il volume delle materie prime utilizzate calerebbe solo del 28%.
Per questo è necessario passare dalla fast fashion a una moda più lenta, circolare, durevole e di qualità. Produrre meno e consumare di più quello che già abbiamo.
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Indossare i vestiti il doppio è un grande affare
Attualmente, molti capi di abbigliamento sono ampiamente sottoutilizzati. Secondo le stime di
Ellen MacArthur Foundation, in soli 15 anni il numero delle volte in cui un capo di abbigliamento viene indossato è diminuito del 36% a livello globale. Come evidenzia Public Eye la ragione principale per cui i vestiti vengono scartati non è tanto la qualità o la taglia, ma l’aspetto emozionale. Su questo fanno leva i messaggi di marketing: ci inducono a credere che alcuni capi sono “fuori moda“, mentre altri sono un “must have” della stagione.
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Raddoppiare i giorni di utilizzo e la durata di vita degli abiti è tecnicamente possibile e consentirebbe di ottenere lo stesso valore d’uso con la metà delle risorse materiali.

Apprezzare di più quello che già abbiamo, senza doverne desiderare sempre di più, è davvero un grande affare. Sarebbe sciocco non provarci.