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Quello che devi sapere sulla viscosa e a cosa fare attenzione

La viscosa è una fibra artificiale ricavata dalla cellulosa degli alberi o dal bambù. È sostenibile? Non ancora. Certificazioni e consigli per scegliere.

La viscosa (o rayon) è la terza fibra più utilizzata nel tessile e abbigliamento dopo il poliestere e il cotone. Forse non ci hai fatto caso, ma se dai un’occhiata alle etichette del tuo guardaroba puoi trovarla anche mischiata con altre fibre.

Nel mio armadio è molto comune, infatti compare nelle etichette di diversi capi comprati tempo fa. La viscosa è un fibra molto versatile che può essere unita a materiali diversi, come elastan, cotone, poliestere, lana, nylon e altre fibre. Come negli esempi che vedi sotto.

Oppure, può essere anche in monofibra, cioè 100% viscosa, il che la rende riciclabile in futuro per creare nuovo filato. Nella foto sotto, l’etichetta della camicia in copertina.

La viscosa è una fibra biodegradabile, ma è “sostenibile”? Non ancora.

Diversamente da come spesso viene presentata, la viscosa non è né “naturale”, né “ecofriendly” né tanto meno “sostenibile”. Non lo è, ma potrebbe esserlo. Basterebbe migliorare i processi di produzione, eliminando le sostanze chimiche altamente impattanti, e non ricorrere alla deforestazione. Fortunatamente, è questa la strada intrapresa da alcuni dei principali produttori mondiali di viscosa.

Nonostante i progressi, la viscosa in commercio è ancora sporca. In pratica, a seconda di chi la produce, può avere notevoli impatti ambientali e conseguenze sulla salute dei lavoratori impegnati nella lavorazione. Oltre a questo, la produzione è anche causa di deforestazione.

Più avanti ti dirò quali accorgimenti puoi adottare nelle tue scelte di acquisto. Intanto, può esserti utile capire l’origine della viscosa.

Da dove viene la viscosa e di cosa è fatta?

La viscosa è stata la prima fibra artificiale ad entrare in commercio. A brevettarne il processo di produzione nel 1890 furono i chimici Charles Cross, Edward John Bevan e Clayton Beadle. Inizialmente, veniva chiamata “seta artificiale” come alternativa alla seta decisamente più costosa. Successivamente, ha preso il nome commerciale di rayon.

Di cosa è fatta la viscosa? Si tratta di una fibra che deriva dalla cellulosa degli alberi o delle piante, come il bambù. La cellulosa è lavorata attraverso una serie di passaggi che prevedono l’impiego di agenti chimici molto aggressivi. Su tutti il solfuro di carbonio, un solvente altamente tossico. Le prime fabbriche di viscosa sorsero all’inizio del XX secolo nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Russia e anche in Italia.

A poco a poco, gli effetti dannosi della produzione di viscosa sui lavoratori divennero sempre più evidenti: allucinazioni, disturbi gastrointestinali, leucemie croniche, malformazioni congenite, ictus, malattie della pelle e altre gravi patologie.

Così, molte fabbriche chiusero e la produzione iniziò a spostarsi altrove dove le regole ambientali erano più flessibili e il costo del lavoro più basso. Oggi Cina, India e Indonesia rappresentano oltre l’83% della produzione mondiale di fibre di viscosa.

Ma non c’è solo il solfuro di carbonio, altri agenti chimici impiegati per la dissoluzione della polpa e la filatura sono la soda caustica e l’acido solforico sostanze che, se non opportunamente gestite, hanno effetti non solo sulla salute dei lavoratori, ma anche su quella delle comunità circostanti e degli ecosistemi locali. Gli agenti chimici, infatti, se mal gestiti provocano l’inquinamento delle falde acquifere e dell’aria. Una situazione documentata da Changing Markets Foundation in Cina, India e Indonesia in una inchiesta del 2017.

Tuttavia, nonostante la delocalizzazione, l’industria della viscosa è sopravvissuta anche in Europa. La produzione è meno impattante grazie a regole più severe e a nuovi metodi di produzione che adottano le migliori tecnologie disponibili in campo industriale. Si tratta del Best Available Technologies, una serie di documenti che la Commissione europea aggiorna periodicamente e che riguardano anche la produzione delle fibre artificiali.

Uno dei produttori più impegnati per una viscosa a basso impatto ambientale è il Gruppo austriaco Lenzing.

La viscosa e le altre fibre di cellulosa

La viscosa è la fibra di cellulosa più diffusa con una quota di mercato dell’80%. Seguono il lyocell (la cui produzione è meno impattante rispetto al rayon) con una quota del 4%, il modal (3%) il cupro (0,2%) e l’acetato con un 13%, ma la sua applicazione principale non è quella tessile. Meno dell’1% di tutte queste fibre viene riciclato in nuova fibra oppure proviene da materiali alternativi (dati di Textile Exchange, report 2022).

Un bell’esempio di riciclo è quello dell’azienda svedese Renewcell. La sua tecnologia di riciclaggio scompone il cotone usato e altri tessuti ricchi di cellulosa e li trasforma in una nuova materia prima biodegradabile: la polpa di Circulose® con la quale si ricavano fibre tessili di viscosa o lyocell. Diversi brand hanno utilizzato e utilizzano Circulose® nelle loro collezioni.

Insomma, dai rifiuti tessili Renewcell crea nuova fibra, ma a condizione che il contenuto di cotone sia pari o superiore al 95%. Ecco perché è importante che il tessuto sia fatto di un unico materiale o con bassissime percentuali di altre fibre.  

La produzione di viscosa causa la deforestazione

Il problema della viscosa non riguarda solo la chimica utilizzata, ma anche la provenienza della materia prima. Canopy, organizzazione canadese per la conservazione delle foreste, ha stimato che circa un terzo delle fibre artificiali a base di cellulosa proviene ancora da foreste antiche e in via di estinzione.

Tanto per rendere l’idea, nel 2019 per produrre viscosa sono stati abbattuti 150 milioni di alberi, di questi, circa 50 milioni, arriverebbero dalle foreste antiche e in via di estinzione. Attualmente, scrive Canopy sul proprio sito, in Indonesia, Canada e Brasile le foreste vengono disboscate per l’industria della moda.

Non possiamo fare a meno delle foreste. È un attentato contro la biodiversità (nelle foreste vive l’80% delle specie presenti sulla Terra) e contro la sopravvivenza delle popolazioni indigene che vivono delle risorse forestali.

Inoltre, c’è un altro aspetto che non conosce confini: il riscaldamento climatico. Le foreste, infatti, sono fondamentali per il sequestro dell’anidride carbonica e quindi essenziali per limitare il riscaldamento climatico a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Oggi siamo a 1,1 gradi.

Non solo, dal punto di vista del sequestro del carbonio, le foreste antiche sono ancora più preziose perché immagazzinano 40 volte più carbonio per ettaro rispetto alle piantagioni industriali.

Insomma, se non vogliamo andare incontro al disastro climatico, non possiamo permetterci il taglio delle foreste solo per avere una maglietta di viscosa e indossarla oltretutto il tempo di una stagione, se va bene.

Se vuoi vedere lo scempio che sta causando la produzione di viscosa in Indonesia, con l’abbattimento di centinaia di migliaia di ettari di foresta pluviale, guarda la docuserie Junk – Armadi pieni, il quarto episodio.

Iniziative per una viscosa meno sporca e impattante

Le iniziative in corso per una viscosa a basso impatto ambientale, sicura per la salute dei lavoratori e delle comunità locali, e che provenga da una gestione forestale responsabile, non mancano.

L’organizzazione Canopy ha lanciato l’iniziativa Canopystyle che impegna marchi, produttori, rivenditori e designer a eliminare il ricorso alla cellulosa proveniente da foreste antiche e a sviluppare tessuti con fibre alternative. Secondo l’analisi “Hot Button Report” 2022, il 53% della fornitura di viscosa è risultato a basso rischio, guadagnando il 3% sul 2021. Nella classifica puoi anche vedere i risultati sulla gestione chimica e sulle emissioni, purtroppo, nessuno dei produttori analizzati è indicato con il colore verde.

Un’altra iniziativa è quella di Changing Markets Foundation “Roadmap towards responsible viscose and modal fibre manufacturing“, lanciata nel 2018 a seguito della campagna “Dirty Fashion”. L’obiettivo è arrivare entro il 2023-2025 a una produzione di viscosa e modal a “circuito chiuso”, un sistema già disponibile che impedisce il rilascio nell’ambiente delle sostanze chimiche utilizzate, in quanto reintegrate nel processo produttivo. Una produzione che non danneggia la salute dei lavoratori e delle comunità locali, a basse emissioni di gas serra e con obiettivi di efficienza energetica.

In particolare, riguardo alla gestione delle sostanze chimiche c’è il programma ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals) e le linee guida specifiche per la produzione di viscosa e di altre fibre artificiali.

Alla roadmap di Change Markets Foundation hanno aderito diversi marchi globali, tra cui ASOS, C&A, Esprit, George at Asda, H&M, Inditex, Levi’s, Marks & Spencer (M&S), Morrison’s, New Look, Next, Sainsbury’s, Tesco, Puma e Reformation. A questo link puoi vedere come si stanno comportando, anche in base all’adesione al programma ZDHC e alla campagna di Greenpeace Detox per l’eliminazione delle sostanze pericolose lungo la catena di produzione.

Certificazioni e consigli in caso di acquisti

Le certificazioni dei prodotti tessili possono essere d’aiuto per scegliere secondo il minimo impatto ambientale e sociale. La cosa migliore, come sempre, è comprare solo quando è necessario. In questo caso, l’impatto è zero o quasi zero se compri abbigliamento usato (che per me è sempre la prima scelta negli acquisti).

Se invece è nuovo? Ci sono delle certificazioni a cui puoi affidarti che trovi in etichetta. Come le certificazioni Oeko Tex. Ad esempio, Oeko Tex standard 100, la più diffusa, certifica che dal filo al prodotto finito, non sono state utilizzate sostanze chimiche pericolose. Altra certificazione che protesti trovare in etichetta è bluesign®, significa che quel prodotto rispetta determinati standard ambientali e di sicurezza dei lavoratori. Infine, la certificazione Ecolabel EU, il marchio di qualità ecologica dell’Unione europea.

Inoltre, se vuoi rassicurazioni sulla provenienza della cellulosa della tua maglietta, insomma che provenga da una gestione responsabile delle foreste, le certificazioni in uso sono: FSC (Forest Stewardship Council) e PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification).

Certificazioni a parte, cerca di informati sulla catena di fornitura del marchio: da dove viene la materia prima? Chi ha prodotto la fibra e come?

Nella scelta preferisci capi in monofibra o al massimo con una percentuale minima di altra fibra, in modo che siano riciclabili a fine vita.

Il contributo della viscosa, e delle altre fibre artificiali a base di cellulosa, sta crescendo. Quindi, è più importante che mai fare scelte oculate, comprando meno e meglio.

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