È stata presentata l’ottava edizione del Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2024, curato dall’Osservatorio sul Riutilizzo. Realizzato con il sostegno di Rete ONU – Operatori Nazionali dell’Usato, di Labelab Waste Water Energy Engineering, il Rapporto dedica ampio spazio al comparto tessile dell’usato.
Una scelta non casuale, visto che il settore tessile e moda è destinatario di una serie di direttive e regolamenti dell’Unione europea con l’obiettivo di ridurne l’impatto ambientale, aprendo la strada verso produzioni circolari, quindi durevoli e riutilizzabili.
Nella gerarchia dei rifiuti il riutilizzo è la prima forma di recupero da privilegiare anche rispetto al riciclo che, a differenza del riuso, prevede processi di trasformazione industriali. Il riuso, invece, ha un impatto ambientale minimo, dovuto essenzialmente al trasporto.
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Il riutilizzo dalla nicchia al mainstream
Riguardo al tessile, a dettare l’agenda è la Strategia sui prodotti tessili sostenibili e circolari dell’Ue dalla quale stanno scaturendo tutta una serie di norme che dovranno essere recepite dai Paesi membri. Tra queste c’è la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) per la gestione dei rifiuti tessili, un sistema in fase di definizione nel quale i produttori si fanno carico dei costi di raccolta, selezione, smaltimento dei beni prodotti.
Così, per il tessile e non solo, il settore dell’usato è diventato centrale nelle politiche europee e nazionali. Lo è per diverse ragioni: la sensibilità dei cittadini verso scelte di acquisto più responsabili, la necessità di risparmiare risorse naturali, sempre più scarse, la riduzione della dipendenza di materie prime dai paesi extra-Ue.
Insomma, se prima il riuso era marginale nelle discussioni politiche e nelle strategie economiche, oggi è l’opposto; non a caso il sottotitolo del Rapporto è “Dalla nicchia al mainstream”.
I dati sul riutilizzo in Italia
Il riuso è divenuto così centrale tanto che i Paesi Ue sono tenuti dal 2023 a fornire il quantitativo dei beni riutilizzati all’Agenzia Europea per l’Ambiente. Ebbene, per la prima volta il Rapporto fornisce una fotografia reale sulla seconda mano in Italia grazie ai dati elaborati dall’Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, in collaborazione con Rete ONU.
Per fornire dati il più attendibili possibile sono stati considerati solo i negozi dell’usato conto terzi. Ebbene, secondo i calcoli nel 2021 sono stati riutilizzati 232mila tonnellate di beni. I prodotti tessili sono stati quantificati in 13.933 tonnellate che, giusto per rendere l’idea, è come aver prolungato l’uso a 96 milioni di magliette o a 33 milioni di jeans.
Seconda vita anche a 63.434 tonnellate di apparecchi elettrici ed elettronici, a 119.067 tonnellate di mobili e a 5.280 tonnellate di altre frazioni merceologiche.
Secondo questi dati si tratta di 4 kg di beni riutilizzati all’anno pro-capite.
I dati ottenuti sono sottostimati, visto che non sono stati considerati altri canali di vendita, le microimprese ambulanti, l’online, ma anche le donazioni o i mercatini del baratto. Se si includessero tutti i canali di vendita dell’usato, probabilmente si arriverebbe a oltre 500mila tonnellate di beni riutilizzati all’anno.
In Italia sono oltre 100.000 gli addetti della “seconda mano”: «Per gli operatori – ha sottolineato Pietro Luppi, direttore dell’Osservatorio sul Riutilizzo e estensore del Rapporto – si è aperta un’epoca di sfide, che riguardano gli standard operativi e ambientali, gli obiettivi, le scale industriali e la legalità».
Sotto la presentazione del Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2024
Le sfide dell’usato tessile
A proposito di legalità, il focus sul tessile si apre con il testo integrale delle proposte e conclusioni finali della Commissione Bicamerale “Ecomafie” in merito all’inchiesta “rifiuti tessili e abiti usati”.
Accanto a operatori competenti e onesti, nel settore della raccolta e recupero di indumenti usati c’è però un fenomeno di illegalità diffusa. «Nel redigere il Rapporto – ha spiegato Luppi nel corso della presentazione – è stata una scelta morale aprire il focus sull’usato tessile partendo dalla Relazione Ecomafie 2022».
«Non parliamo dell’illegalità degli informali, dei vizi di forma, ma dei delitti ambientali sistematici, di riciclo di denaro, delle infiltrazioni della criminalità organizzata. Una premessa scomoda, ma di cui occorre prendere atto prima di qualsiasi altro ragionamento». Anche perché «la Commissione afferma che l’interesse della criminalità organizzata verso il settore è in crescita. Questo è un fenomeno con il quale i decisori devono fare i conti».
A fare gola sono le risorse del PNRR e quelle che verranno allocate dai sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR).
Tanto più che in Italia è imminente il decreto ministeriale proprio sull’EPR. Il Decreto ha lo scopo di migliorare la filiera del recupero tessile grazie all’intervento organizzativo e finanziario dei produttori, rendendo più trasparente la filiera degli indumenti usati e vigilando sulle operazioni di raccolta e trattamento. Quindi non può non tener conto del pericolo delle infiltrazioni criminali.
L’esportazione degli abiti usati
Altro problema è l’esportazione degli abiti usati oltre i confini dell’Ue: in Africa, Asia e America Latina. Una invasione di rifiuti, visto che i mercati locali non riescono ad assorbire tutto quello che arriva: troppo, di bassa qualità, non adatto persino alle condizioni climatiche.
Vietare l’esportazione dell’usato, quindi? Alcuni Paesi dell’Ue, come la Francia, sono d’accordo. Parte della soluzione però potrebbe essere l’EPR stesso, ma si potrebbe anche andare oltre. Lo ha spiegato Alessandro Giuliani, portavoce di Rete ONU: «Esiste una nuova frontiera, l’UPR –Ultimate Producer Responsibility, ossia la responsabilità finale del produttore su tutta la filiera del recupero degli scarti, includendo le destinazioni a valle in paesi extraeuropei.
«Il Riutilizzo, infatti, per funzionare al suo massimo potenziale ha bisogno di rivolgersi anche ai mercati extraeuropei, ma bisogna fare in modo che i materiali inviati siano veramente riutilizzabili e che l’invenduto venga smaltito in modo corretto. Altrimenti, come testimoniato con molta crudezza da numerosi reportage internazionali, l’economia circolare rischia di culminare in discariche non controllate, oppure in smaltimenti illeciti nel mare e nei corsi d’acqua».
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La fast fashion e l’ultra fast fashion ostacolano il riuso e il riciclo
Il settore tessile è in grande evoluzione, non mancano le sfide e nemmeno le contraddizioni.
Infatti, se da una parte l’Unione europea sta lavorando per rendere il settore tessile circolare e sostenibile attraverso una serie di provvedimenti normativi, «il settore è in una fase di incertezza, perché le nuove regole non sono ancora chiare», ha spiegato Karina Bolin, responsabile comparto Tessile Rete ONU nel corso della presentazione del Rapporto.
«Senza contare che stiamo assistendo a un incremento del fast fashion e dell’ultra fast fashion. Parliamo di una produzione enorme di indumenti mai vista prima». In pratica sta avvenendo il contrario di quello che dovrebbe essere: meno consumo di tessili e materie prime a fronte di una produzione di capi più duraturi.
Nel nostro Paese la raccolta differenziata del tessile usato, obbligatoria dal 1° gennaio 2022, è in aumento, ha aggiunto Bolin. Ma è in crescita anche la percentuale non riutilizzabile e non riciclabile. «La causa – ha spiegato – è il fast fashion e l’ultra fast fashion i cui capi sono fatti di materiali misti oltre che di bassa qualità, pertanto difficili da avviare al riutilizzo o al riciclo. Tutto questo sta mettendo in crisi gli operatori della raccolta del tessile usato a causa dei costi di gestione».
Oggi le filiere di recupero del tessile si sostengono grazie alla vendita della frazione riutilizzabile ai canali della seconda mano, con l’EPR, grazie al supporto finanziario ed organizzativo dei produttori, le filiere potrebbero diventare più stabili, più grandi e più sostenibili.
«L’EPR – ha sottolineato Bolin – è sicuramente uno strumento importante, ma è necessario conciliare l’interesse dei produttori con quello pubblico e ambientale. Inoltre, i decisori dovrebbero analizzare i fatti e salvaguardare gli operatori competenti e sani».
Come cittadini e consumatori
Insomma, l’usato non è un settore semplice, per niente. E come cittadini e consumatori pretendiamo che il nuovo sistema di raccolta e gestione dell’usato privilegi effettivamente il riutilizzo e sia gestito con competenza e da operatori onesti. Che indubbiamente ci sono.
Inoltre, con le nostre scelte possiamo contribuire a prolungare la vita dei nostri capi e a ridurre la sovrapproduzione causata dalla fast fashion e dall’ultra fast fashion. Compriamo meno, compriamo meglio.
Scegliamo possibilmente l‘usato, il vintage e il nuovo di qualità. Evitiamo il più possibile l’acquisto di capi fatti con fibre miste poiché non sono riciclabili. Soprattutto, abbiamo grande cura di quello che è già nel nostro armadio.
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